Alla scoperta del relitto del St George Wreck nella Repubblica Dominicana

Il St George Wreck è un mercantile moderno affondato appositamente per creare una barriera artificiale

14 June 2023 | di Paolo Ponga

Poche vacanze possono risultare più rilassanti di una settimana nella Repubblica Dominicana. Cielo costantemente azzurro scuro, palme, spiaggia bianca, sole e mare caldo. Aggiungiamo una comoda sdraio e un mojito in mano, dove campeggia l’unico ombrellino visto durante le vacanze. Cosa si può desiderare di più? In effetti basta poco. È sufficiente guardare la superficie del mare e sapere che a soli 800 metri di distanza si trova il relitto più famoso di tutto il Paese, quello più visitato dai subacquei: il relitto del San Giorgio, il St George Wreck.

Non si tratta di una nave appartenuta ai famosi pirati che infestavano queste coste ma di un mercantile moderno, affondato appositamente per creare una barriera artificiale, substrato per la vita marina. Anche se era privo di particolare interesse storico e se le notizie su di esso erano a dir poco frammentarie, il pensiero di poter visitare un nuovo relitto era oltremodo eccitante: si trattava di una nuova avventura sottomarina, di un nuovo capitolo da aggiungere al seguito di “Storie Sommerse“, il mio libro di relitti e storie di mare pubblicato dalla casa editrice Il Frangente.

Le immersioni in quest’area sono molto comode e facili. Il diving con cui sarei sceso sott’acqua si trovava all’interno del villaggio ed era dotato di un’ottima barca, preparata appositamente per i subacquei. Non occorreva nemmeno portare l’attrezzatura, perché veniva caricata dai ragazzi del centro: una volta tanto la comodità regnava sovrana. L’area si trova ai margini della Reserva Nacional Parque Del Este e faceva ben sperare per la quantità di vita marina presente sotto la superficie.

Chiaramente la presenza degli alberghi di Bayahibe, delle dimore dei turisti e delle attività a essi legate porta ad una pesca eccessiva. Purtroppo è una pratica consueta in tutti i Caraibi, che svuota il mare da ciò che è commestibile. Malgrado questo, durante le uscite è normale imbattersi in delfini, tartarughe, pesce di passo come carangidi e, se si è fortunati, tonni, cernie, barracuda, murene, razze e aquile di mare. L’ambiente tipico di questa zona è costituito da fondali sabbiosi poco profondi, dai 10 ai 20 metri, dove si è formato il corallo ed è forte la presenza di grosse spugne e gorgonie. In mezzo a questa vita bentonica ancorata al fondo, si muove un coacervo di piccoli pesci di barriera e di crostacei, sempre affascinante da osservare con le sue mille forme e colori.

Immergersi sul relitto del St George

Abituati condurre i turisti subacquei in un ambiente caldo, poco profondo e alieno da ogni pericolo, i diving non sono mai particolarmente felici di recarsi a St George Wreck. Il motivo è la profondità, considerata proibitiva da queste parti: la lunga nave è appoggiata in assetto di navigazione su un fondale che digrada dai 15 ai 44 metri. Aggiungiamo che le bombole di alluminio sono normalmente da 12 litri e che si tratta di una meta per famiglie, con sub che si immergono una volta ogni tanto e che vanno quindi curati senza sosta, tenendoli compatti come fanno i cani da pastore: facile incontrare l’americano che si crede Superman, quello eccezionalmente sovrappeso o quello che non conosce le regole base della subacquea.

Per questo la preparazione e il briefing sono fatti con estrema cura ed è poi con la consueta emozione che scendiamo in acqua, dirigendoci verso il castello di poppa, la prima parte della nave che si incontra durante la discesa. La visibilità dipende dalle correnti e io non sono particolarmente fortunato, visto che ci saranno 10-12 metri oltre i quali tutto si confonde nel blu. Il tempo che trascorreremo sul fondo non è molto e mi trovo, come sempre, impegnato a fare fotografie e a cercare le immagini migliori da poter poi portare nel cuore.

Si scende quindi lungo la murata di dritta, senza arrivare alla prua, e si risale lungo il ponte effettuando anche una piccola penetrazione, per ritrovarsi davanti a un bel branco di carangidi all’uscita. In totale effettueremo 30 minuti di immersione, compresa la sosta di sicurezza: pochi per una nave di queste dimensioni. Peccato che venga effettuata solo una volta alla settimana, perché avrebbe meritato una visione più calma e approfondita. Dopo circa un’ora di sosta in superficie, passata a chiacchierare e a mangiare la deliziosa frutta dominicana offerta dal diving, abbiamo effettuato il secondo tuffo sul reef a basse profondità, imbattendoci in qualche barracuda, alcune cernie, un paio di razze, una murena e un enorme paguro, che ha trovato casa in una conchiglia. Il ritorno ha visto così tutti soddisfatti.

La storia del St George

Anche se la storia della nave è assolutamente recente e l’affondamento non deriva da cause belliche, reperire delle informazioni in merito non è stato semplice. Le notizie sul web, come spesso accade, sono contrastanti e poco chiare ma, come altre volte, sono stato fortunato e sono riuscito a venirne a capo. Il St George nacque come MV Buffalo e venne varato in Scozia, nei cantieri Ardrossan, nel gennaio 1962. Era un mercantile di 2.163 tonnellate di stazza lorda, lungo 78,6 metri x 13 metri di larghezza e poco meno di 5 metri di altezza, mosso da un motore diesel che azionava una singola elica. La compagnia armatrice Coast Lines Ltd destinò la nave al trasporto delle merci tra Liverpool e Belfast.

Nel 1971 la compagnia venne venduta e il nuovo proprietario trasformò la nave in una porta-container con una nuova stazza lorda di 1.482 tonnellate. Divenuta MV Norbrae, venne destinata alla rotta per Rotterdam, in Olanda, e successivamente ancora venduta e rinominata più volte, finendo per coprire rotte nel Sud e nel Centro America, trasportando container e derrate alimentari nel nuovo continente, ma anche in Europa, probabilmente grano, orzo e canna da zucchero.

Il 22 settembre 1998 la vecchia nave si trovava nel porto di Santo Domingo, quando l’isola fu colpita dal devastante uragano di categoria 3 George, con venti che arrivavano a 200 km/h e che causarono centinaia di vittime e danni per 10 miliardi di dollari dell’epoca. La nave da trasporto subì danni tali che si pensò al suo smantellamento. Poi, in tempi record, si decise di togliere il recuperabile e gli agenti più dannosi e di affondarla davanti a Bayahibe il 12 gennaio 1999. Il mercantile, divenuto una nuova casa per pesci e altri animali marini, aveva allo stesso tempo preso il nome dalla forza distruttiva che gli aveva dato il colpo di grazia, ovvero l’uragano George. Come buon auspicio era però divenuto santo: il St George.

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