Sul relitto dell’HMS Maori: la nave che partecipò alla caccia alla Bismarck

Il relitto dell'HMS Maori giace a Malta, nel Marsamxett Harbour, proprio di fronte al Forte Sant’Elmo

18 December 2023 | di Paolo Ponga

La visita a un relitto è sempre emozionante, un’immersione nella storia. A volte, però, abbiamo l’occasione di visitare i resti di una nave che ha fatto davvero la storia, partecipando a numerosi scontri che l’hanno resa celebre. L’immersione sull’HMS Maori assume così un sapore particolare, legato al luogo in cui si trova e alle avventure guerresche a cui ha partecipato, combattute contro la Marina tedesca e quella italiana. Il Maori fu infatti uno dei protagonisti della Seconda Guerra Mondiale sia nell’Atlantico che nel Mediterraneo, con la Marina inglese contrapposta a quella italiana, impegnata nella protezione dei convogli che portavano truppe e armamenti alle forze presenti in Africa del Nord.

Il relitto giace a Malta, nel Marsamxett Harbour, proprio di fronte al Forte Sant’Elmo, uno dei simboli dell’isola e della strenua resistenza che i suoi abitanti hanno opposto alle invasioni nemiche nel corso degli ultimi secoli. D’altronde, la sua posizione centrale nel Mediterraneo ne ha sempre fatto un punto focale per i commerci ma anche per gli eserciti e le marine che si contrapponevano nel Mare Nostrum.

L’HMS Maori era una bella nave della classe Tribal, varata il 2 settembre 1937 nei cantieri Fairfield Shipbuilding and Engineering Company di Govan, che entrò in servizio il 2 gennaio 1939 e venne destinata a Malta insieme alla gemella HMS Cossack. Aveva un dislocamento di 1.921 tonnellate, era lunga 115 metri, larga 11,13 e aveva un pescaggio di 2,7 metri. I 44.000 cavalli sprigionati dalle sue turbine potevano spingerla fino alla considerevole velocità massima di 36 nodi, con un’autonomia di 5.700 miglia. Era grande, veloce e pesantemente armata, costruita per superare in ogni modo le unità equivalenti delle altre Marine.

Era dotata di otto cannoni Mark XXII a fuoco rapido da 120 mm (4,7 pollici) sistemati in quattro impianti binati, oltre a 4 tubi lanciasiluri da 533 mm, un impianto ASDIC per il rivelamento di unità sommergibili nemiche e una rastrelliera con due lanciatori per le cariche di profondità. L’armamento antiaereo era costituito da un impianto quadruplo di cannoncini Vickers-Armstrong e altri due con quattro mitragliatrici Vickers. A condurre questa piccola ma potente macchina da guerra vi erano 190 uomini dell’equipaggio, fra ufficiali e marinai.

Allo scoppio del conflitto mondiale venne utilizzata nel Mediterraneo con compiti di scorta e caccia a eventuali contrabbandieri tedeschi. Poi, nell’ottobre del 1939, fu trasferita nel Mare del Nord, dove con l’HMS Inglefield riuscì a salvare, rimorchiandolo in porto, il sommergibile HMS Triad, rimasto in aperto oceano senza propulsione a causa di una tremenda tempesta. Dopo alcuni lavori effettuati in Gran Bretagna, prese parte alla campagna di Norvegia, dove fu sottoposta a pesanti attacchi da parte di aerei della Luftwaffe: due bombe caddero assai vicino all’unità, causando diversi danni, oltre a morti e feriti fra i marinai.

Al rientro in servizio, dopo le riparazioni, il cacciatorpediniere operò nelle acque a settentrione della Gran Bretagna, lungo le coste islandesi, quelle delle Faer Oer e quelle della Norvegia occupata. Nel 1941 fu trasferito nelle acque britanniche per la scorta al traffico mercantile nella zona dei cosiddetti “approcci occidentali”, dove di solito avvenivano gli attacchi degli U-Boot germanici.

Il 25 maggio 1941 era impegnato con i cacciatorpedinieri Cossack, Sikh e Zulù nella missione di scorta al convoglio WS-8B diretto in Medio Oriente, quando un messaggio dell’ammiragliato scosse gli animi dei marinai imbarcati: la corazzata Bismarck era penetrata nell’Atlantico da nord, occorreva trovarla e affondarla subito, prima che potesse fare danni e approdare lungo le coste bretoni occupate dai tedeschi. Insieme alle altre navi di scorta si diresse quindi velocemente verso la zona dove era stata rintracciata e, tra la sera del 26 e il mattino del 27 maggio, attaccò con i siluri la grande nave nemica, impegnandola tutta la notte ma non riuscendo a mettere a segno alcun colpo. Quando la corazzata venne affondata, raccolse alcuni dei naufraghi, salvandoli da morte sicura.

A questo punto l’HMS Maori venne destinato a Malta, tagliata fuori e assediata dalle forze dell’Asse, e fu assegnato come scorta a un convoglio di rifornimenti, che venne pesantemente attaccato dalle forze aeronavali italiane tra il 22 e il 24 luglio 1941 (Operazione Substance). Tornato a Gibilterra, partecipò al bombardamento del porto di Alghero e poi venne rimandato per ammodernamento in Gran Bretagna. Una volta eseguiti i lavori, venne subito rispedito nel Mediterraneo, visto che la nostra Marina stesse dando del filo da torcere alla Royal Navy.

Il 13 dicembre, assegnato alla Forza H, partecipò alla battaglia di Capo Bon al largo delle coste della Tunisia, nel corso della quale gli incrociatori italiani Alberto da Giussano e Alberico da Barbiano vennero silurati e affondati. Unitosi alla Forza H di Malta, partecipò brevemente alla battaglia dei convogli e poi alla prima battaglia della Sirte. Da Alessandria venne quindi assegnato alla scorta di un convoglio per l’isola e in seguito di nuovo alla caccia dei convogli italiani.

Il suo destino si compì alle 2 del 12 febbraio 1942. L’HMS Maori si trovava ancorato al Grand Harbour de La Valletta, con l’equipaggio fuori servizio alloggiato nei rifugi antiaerei. L’isola venne attaccata dai velivoli dell’Asse, che durante l’incursione notturna speravano di riuscire a colpire le navi alla fonda. Una bomba riuscì a penetrare nella sala macchine ed esplose insieme al deposito dei siluri, affondando in maniera irrecuperabile il grosso cacciatorpediniere, che si appoggiò sul fondale poco profondo rimanendo con la prua fuori dall’acqua. Nell’esplosione perse la vita un solo marinaio, rimasto di corvée a bordo.

Per la nave non c’era più niente da fare. Vennero recuperati i cannoni di prora, impiegati in seguito nelle difese del porto presso il Forte Ricasoli, e alla fine del 1942 il relitto, che interferiva con la navigazione, venne riportato brevemente a galla e affondato al largo di Sliema. Il 5 luglio 1945, dopo la fine della guerra, la nave venne nuovamente fatta riemergere per affondarla presso il Forte Sant’Elmo, ma durante il trasporto due terzi della sezione poppiera si staccarono, finendo in acque profonde, mentre la prua venne portata nella posizione attuale, sul lato sud dell’ingresso di Marsamxett Harbour.

Ciò che rimane del relitto giace a circa 16 metri di profondità, su un fondale misto di sabbia e pietrisco. Una parte delle lamiere è stata recuperata nel corso degli anni, mentre ciò che rimane viene ogni anno sempre più rovinato dalle tempeste invernali, che riescono a penetrare fino a questo sito scuotendo i resti sopravvissuti della nave. L’immersione si svolge proprio di fronte al Forte Sant’Elmo, entrando in acqua dalla riva. Ci sono quattro ingressi diversi, più o meno di facile accesso, ma sempre facendo attenzione alle rocce scivolose.

Io sono andato a visitare i resti del cacciatorpediniere con l’amico Daniele Bertaggia, mia guida dedicata per le immersioni ai relitti maltesi, fatte con l’eccezionale diving Orange Shark di Paola Lupo e Max Valli. Sembra così strano non muoversi in barca ma con uno dei pick-up del diving center, parcheggiato sotto le mura del Forte Sant’Elmo: immergersi in questo luogo fa davvero sentire l’ingresso nella storia.

La visibilità è relativamente buona, considerando il fondale di sabbia e la presenza costante di un po’ di corrente che si aggira tra i sette e i dieci metri. Parte delle sovrastrutture sono ancora esistenti ed è possibile una breve penetrazione all’interno, anche se molto pericolosa a causa dell’instabilità del relitto. Si riescono a distinguere le basi dei cannoni anteriori, alcune parti delle strutture, delle bitte, un pezzo di catena e dei proiettili. Come sempre il relitto è pieno di vita marina che è andata ad abitare tra le lamiere e con le lampade ci divertiamo a cercare i nuovi condomini.

Poco distante si trovano poi i resti di una parte di jeep e di una moto d’epoca, forse una BSA, una Matchless, una Norton, chissà. Da ciò che rimane sembra trattarsi di un mezzo utilizzato durante la guerra e finito qua sotto per motivi che mai riusciremo a scoprire. Si è trattato di un’immersione molto facile e serena, effettuata cercando di capire quali fossero le strutture originali di questo grande cacciatorpediniere, protagonista di mille battaglie. Se vi piacciono le storie di mare, di uomini coraggiosi e di relitti, vi rimando alla lettura di “Storie Sommerse – Esplorazioni tra i relitti“, edito da Il Frangente di Verona.

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