Porti: rischio stangata per i marina

L'applicazione della nuova normativa rischia di essere una nuova mazzata per tutta la filiera della nautica che proprio negli ultimi mesi sta uscendo da una grave crisi durata sei anni

5 January 2017 | di Redazione Daily Nautica

L’applicazione della normativa sulle concessioni turistico ricreative anche ai porti turistici ha fatto moto discutere all’interno del settore della nautica. In particolare la sua applicazione retroattiva ha reso indispensabile il ricorso alla Corte Costituzionale poiché sembra violare le norme costituzionali a difesa della iniziativa economica.

Dopo la tassa Monti questa rischia di essere una nuova mazzata per tutta la filiera della nautica che proprio negli ultimi mesi sta uscendo da una grave crisi durata sei anni. L’applicazione della normativa sulle concessioni turistico-ricreative anche ai porti turistici, infatti ha modificato a posteriori i termini dei contratti firmati dagli investitori con lo Stato. Tali contratti prevedevano per le marine una specifica legislazione riconoscendo gli ingenti investimenti connessi alla realizzazione di queste opere e la differente natura dello stesso titolo concessorio rispetto a quello delle concessioni balneari. Con la nuova normativa gli aumenti annui dei canoni demaniali vanno da 45.000 a 75.000 euro, per le strutture della fascia minore, e da 100.000 a 250.000 euro annui per le strutture più grandi. Il gettito che l’erario può ottenere è pari a 3.595.000 euro l’anno.

Secondo i dati dell’Osservatorio Nautico Nazionale, l’indotto economico a rischio è pari a 185 milioni di euro e  sempre secondo l’Osservatorio, in media una marina turistica genera un indotto occupazionale di 92 unità, dunque in discussione c’è la sopravvivenza di 2.484 posti di lavoro, che contando il solo l’incasso diretto del fisco valgono circa altri 4 milioni di euro.

L’Unione nazionale dei cantieri e delle industrie nautiche (UCINA) rileva come da un lato ci sia un costo stimabile in 3,6 milioni per lo Stato, spiccioli per il bilancio, dall’altro un danno per l’erario di 54 volte maggiore. Infatti le imprese della portualità turistica che hanno impugnato l’applicazione retroattiva della nuova normativa sui canoni demaniali sono 26 per 15.000 posti barca complessivi: 10 sono le strutture più piccole, da 100 fino a 500 posti barca, 16 quelle maggiori da 501 a 980 posti barca.

Il Consiglio di Stato, dal suo canto, ha evidenziato come i rapporti concessori relativi ai porti turistici devono essere regolati dalla concessione, perché il canone è fissato dall’atto concessorio “tenendo conto dell’equilibrio economico-finanziario dell’investimento”.  

Questa situazione ha causato un contenzioso legale decennale che fino ad ora ha sempre visto vincere i porti turistici e che il Consiglio di Stato, confermando le ragioni dei ricorrenti, ha rinviato alla Corte Costituzionale, la quale si pronuncerà il prossimo 10 gennaio e che sara decisiva per la sopravvivenza di 26 tra le maggiori strutture portuali turistiche del paese.

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