Tanti ospiti internazionali alla terza edizione del Tigullio Design District
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- 22 April 2024
Stiamo per affrontare il mondo degli abissi frequentando il nostro primo corso di subacquea. Intanto ci si pone una domanda: perché “primo” corso? Non ne basta uno? In un certo senso sì ma, in realtà, si tratta solo di un primo approccio. I particolari variano con le didattiche ma le linee base sono comuni a tutte.
Il primo corso per diventare subacquei ti insegna i concetti base, le regole di sicurezza, come cavarsela dagli impicci di livello zero e ti abilita ad immergerti in coppia fino a 18 metri di profondità. I corsi successivi, invece, ti abilitano a profondità superiori, a respirare miscele di gas diverse dall’aria e ad immergerti in situazioni particolari (grotte, relitti, etc.), dando non solo maggiori informazioni ma soprattutto esperienze aggiuntive e maggiore sicurezza.
Si tratta di brevetti non obbligatori ma, se fatti con la giusta calma ed impegno e con istruttori motivati e competenti, ci permettono di godere ancora di più dell’ambiente sommerso e a limitare i rischi relativi all’attività subacquea.
Dal punto di vista dell’attrezzatura, invece, cosa serve per iniziare? Volendo, nulla. Tutto si può noleggiare praticamente ovunque nel mondo. Come fare? Semplicemente affidandosi a un buon diving center che ci condurrà a visitare posti meravigliosi, permettendoci di affittare tutto ciò di cui avremo bisogno. Questa soluzione è normalmente privilegiata da coloro che fanno pochissime immersioni, oppure quando viene programmato un viaggio senza attività subacquee ma poi salta fuori l’occasione di effettuare delle immersioni.
E se vogliamo diventare dei veri sommozzatori praticando questo magnifico sport in ogni periodo dell’anno e con qualsiasi clima? È possibile. Vediamo con quali attrezzature.
Un vetro davanti agli occhi fissato alla testa con della plastica e della gomma che consente di vedere sott’acqua. Per chi ha problemi di vista è possibile inserire delle lenti graduate, comode soprattutto per chi è un po’ più avanti con l’età.
Da 0,5, 3 o 5 mm a seconda della temperatura dell’acqua. Serve a proteggere uno dei punti con maggiore dispersione di calore, la testa.
Ne esistono 3 tipologie. La prima è la muta umida, uno strato di neoprene spesso 3 o 5 mm, sotto il quale passa un filo d’acqua riscaldato dal calore del corpo. Può essere corta (lo shorty, per i mari molto caldi) oppure lunga, a coprire anche braccia e gambe. Si utilizza nei mari caldi e nel Mediterraneo durante l’estate.
La seconda è la muta semistagna, sempre di neoprene ma più spessa (circa 7 mm). Ha una cerniera stagna, solitamente posta dietro le spalle, che non fa passare l’acqua. È molto versatile e si finisce per usarla sempre (tranne ai tropici). Meglio stare al caldo che battere i denti, questo è sicuro.
L’ultima tipologia è quella della muta stagna. Non entra l’acqua (a meno di guasti che a volte capitano) grazie ad una cerniera stagna, il collo è stretto e sono presenti due valvole di carico e scarico dell’aria. I piedi sono protetti dalla muta e si infilano dentro degli stivaletti. Sotto la muta ci si veste con abbigliamento termico più o meno pesante, a seconda del tipo di tessuto della muta e della temperatura dell’acqua: dal Mediterraneo, al lago, fin sotto il ghiaccio, ogni immersione è possibile. È però più scomoda e difficile da usare e occorre frequentare un breve corso per imparare a utilizzarla.
Più o meno spessi a seconda della temperatura dell’acqua (come il cappuccio).
A scarpetta chiusa (quelle classiche, con il piede nudo) oppure aperta, che si indossano con uno stivaletto (in grado di proteggere il piede dal freddo e dalle scivolate fuori dall’acqua).
Di solito si prende al diving.
A noleggio durante i viaggi o comunque quando si scende con un diving center.
È l’attrezzo che consente di respirare l’aria contenuta nella bombola. Consiste in una parte collegata alla rubinetteria che si chiama “primo stadio” e che trasforma la pressione da 200 bar in pressione ambiente. Il “secondo stadio“, invece, è quello che grazie ad una frusta porta l’aria da respirare in bocca.
Chiamato a volte “jacket”, è la versione umana della vescica natatoria dei pesci. Serve per trovare il giusto equilibrio in acqua e nuotare in “assetto neutro”, cioè senza andare su e giù come palline.
Una volta venivano utilizzate le tabelle per calcolare i tempi di permanenza sott’acqua e quelli di eventuale decompressione. Oggi si usano i computer (fatti come orologi che si portano al polso), che garantiscono una maggiore sicurezza.
Completano la lista dell’attrezzatura una lampada, un rocchetto con la sagola da attaccare ad una boa di sicurezza lunga e sottile chiamata “pedagno” e, prima o poi, una macchina fotografica con custodia subacquea.
Questa è una lista di attrezzatura che definiamo “base“. A poco a poco però essa crescerà nella vostra cantina (per la disperazione di vostra moglie) fagocitando l’armadio in cui è conservata. A cosa mi serve una bombola se tanto me la danno al diving? Io ne ho 5… Una muta è sufficiente… Io ne ho perso il conto (non scherzo!) ma alla fine ne uso regolarmente 3: una da 3 mm lunga per i mari caldi, una vecchissima semistagna per il Mediterraneo durante l’estate e una stagna in neoprene per il lago, l’inverno e le immersioni profonde.
Tuttavia, se state facendo il primo corso e siete pieni di entusiasmo, chiedete consiglio al vostro istruttore su cosa acquistare per primo: lui sicuramente saprà indirizzarvi nel migliore dei modi. Io vi do il mio umilissimo parere, probabilmente diverso dal suo: prima di tutto compratevi il computer. Non spenderete una cifra esorbitante e poi la sicurezza non ha prezzo.
Paolo Ponga