Scoperto il relitto di una nave del ‘500 negli abissi di Camogli: forse è la nave ragusea “Santo Spirito” naufragata nel 1579

Clamorosa scoperta nei fondali di Camogli, a 50 metri di profondità: due sub professionisti, Gabriele Succi ed Edoardo Sbaraini, hanno rinvenuto il relitto di una nave, ora allo studio della Soprintendenza ai beni archeologici

19 June 2020 | di Giuseppe Orrù

Clamorosa scoperta archeologica negli abissi di Camogli. Due sub professionisti hanno rinvenuto il relitto di una nave della prima età moderna, a 50 metri di profondità. Potrebbe trattarsi del relitto del galeone “Santo Spirito”, affondato in quelle acque nel 1579, dopo essere stato costretto alla quarantena per il timore che alcuni membri dell’equipaggio fossero affetti dalla peste.

Gli autori del sensazionale ritrovamento sono Gabriele Succi ed Edoardo Sbaraini, titolari della ditta di lavori subacquei “Rasta Divers” di Santa Margherita Ligure, che già nel 2018 fecero un’altra importante scoperta sui fondali del promontorio di Portofino.

La nuova scoperta è avvenuta durante un’immersione nella zona di Porto Pidocchio, nell’Area Marina Protetta di Portofino (area C), in una zona poco battuta dai subacquei e destinata alla sosta dei diportisti. I due si sono imbattuti in una serie di elementi lignei disposti a pettine: subito hanno colto l’importanza del rinvenimento, estremamente raro in quanto il legno difficilmente si conserva sul fondale se non viene sepolto dai sedimenti marini.

La loro tempestiva segnalazione alla Soprintendenza, come previsto dalla legge, ha dato il via ad una serie di immersioni, in cui gli stessi scopritori hanno lavorato al fianco degli operatori subacquei della Soprintendenza archeologica della Liguria e dei Carabinieri per le operazioni di ricognizione e i primi rilevamenti del sito, anche in presenza del Nucleo di Genova del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale.

IL RELITTO

I primi risultati confermano il grande interesse del ritrovamento. La porzione di scafo visibile è, infatti, riconducibile ad un relitto della prima età moderna, di cui oggi sono noti pochissimi esempi nel Mediterraneo. Gli studi sono ancora in corso e, vista l’importanza del sito, la Soprintendenza sta sviluppando un ampio progetto di ricerca con partners internazionali, per precisarne datazione e caratteristiche tecnico-costruttive e tentarne, in ultimo, l’identificazione.

Nel 1579 lo specchio di mare al largo di Punta Chiappa fu lo scenario del naufragio della grande nave ragusea “Santo Spirito e S. Maria di Loreto”, oggetto a partire dagli inizi degli anni ’70 del secolo scorso di ripetuti tentativi e successivi programmi di ricerca.

Si narra che la nave, arrivata dalla Spagna, trasportasse un prezioso carico, fatto di stoffe e gioielli preziosi e armi di straordinaria fattura. Il racconto rimanda poi a un fatto estremamente attuale: nonostante il suo prezioso carico, infatti, le autorità del porto di Genova la respinsero e la nave venne messa in quarantena dato che in Spagna imperversava la peste nera. Il naufragio avvenne durante una tempesta.

Nel Mediterraneo sono rarissimi i relitti della prima età moderna che conservano resti strutturali di legno: paradossalmente si conoscono meglio le tecniche costruttive delle antiche navi romane rispetto a quelle utilizzate nel Mediterraneo nei secoli di passaggio tra il Medioevo e l’età moderna. I resti dello scafo individuati e attualmente visibili (una parte estremamente limitata rispetto a quanto rimane sepolto), riconducibili a una porzione della fiancata della nave, consentiranno agli archeologi di studiare in dettaglio l’architettura navale di quell’epoca.

IL RACCONTO DEGLI SCOPRITORI

Ci trovavamo – raccontano Gabriele Succi ed Edoardo Sbaraini, sommozzatori professionisti e titolari della ditta di lavori subacquei “Rasta Divers” di Santa Margherita Ligure – nei fondali di una porzione di mare considerata di scarso valore riguardo al turismo subacqueo, ma storicamente significativa per le sue frequentazioni. L’immersione prevedeva di sfruttare i nostri veicoli subacquei per coprire un’area relativamente grande, compresa tra i 45 e i 55 metri di profondità, ed è stato solo a pochi minuti dal termine del tempo di fondo pianificato che alcune grandi concrezioni e numerosi attrezzi da pesca incocciati in un fondale apparentemente fangoso, hanno attirato la nostra attenzione“.

Sotto questi “rifiuti” moderni, affiorava, infatti, una lunga serie ordinata di elementi in legno lavorati, associati ad altrettanti grandi chiodi ancora in posizione, ormai quasi irriconoscibili per via delle concrezioni. “Dopo l’emozione iniziale e realizzato il potenziale interesse archeologico dell’area – spiegano i due sommozzatori – abbiamo deciso di sfruttare gli ultimi minuti sul fondo per documentare in video quanto più possibile. Una volta terminata la decompressione sulla verticale e rilevate le coordinate GPS con la strumentazione di bordo, non restava che contattare il Servizio Tecnico di Archeologia Subacquea della Soprintendenza con il quale collaboriamo costantemente dal 2018, anno del nostro rinvenimento del relitto romano denominato Portofino 3, che trasportava anfore galliche“.

I RICERCATORI

Ogni nuova scoperta archeologica – sottolinea Simon Luca Trigona, archeologo subacqueo e referente Stas (Servizio Tecnico Archeologia Subacquea) – soprattutto se di importanza internazionale come quella che presentiamo oggi, è fonte di grandi emozioni, entusiasmi, ipotesi e supposizioni. Ma ciò che adesso risulta prioritario è procedere immediatamente alla messa in sicurezza del sito, tramite specifiche ed efficaci disposizioni condivise con l’Autorità Marittima e l’Area Marina Protetta di Portofino“.

Le difficoltà non mancheranno, vista la profondità in cui è stato rinvenuto il relitto. “Lo staff impegnato nel progetto di ricerca è già al lavoro – aggiunge Trigona – anche se non possono essere negate le difficoltà tecniche di lavorare al limite delle possibilità operative della subacquea professionale. Dovremo trovare i finanziamenti e avremo bisogno di tempo per l’organizzazione e l’esecuzione delle indagini, ma il nuovo relitto Camogli 1 sarà certamente una miniera di informazioni per la storia della marineria mediterranea e, forse, potrà porre fine al lungo capitolo legato alla ricerca del famoso relitto raguseo del S. Spirito e Madonna di Loreto“.

Il patrimonio tutelato – conclude Alessandra Cabella, storico dell’arte e subacqueo dello Stas – dalle grandi evidenze alle tracce semi-sconosciute sul nostro territorio, costituisce un universo straordinario e multiforme da proteggere e promuovere. La collaborazione coi subacquei e coi diving centers è particolarmente preziosa: segnalare una scoperta non è solo un obbligo di legge. I due scopritori con la segnalazione di questo nuovo importantissimo relitto, sono diventati parte attiva nella tutela di un patrimonio che costituisce parte pulsante e identitaria delle nostre radici storiche e culturali“.

 

Giuseppe Orrù

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