Perle, la nave scuola sotto le onde dell’Atlantico

La Perle era un peschereccio che, oltre all’attività di pesca, veniva destinato alla formazione dei futuri ufficiali della Marina mercantile francese

7 February 2024 | di Paolo Ponga

Arrivare a Douarnenez, in Bretagna, è un po’ come giungere in un mondo diverso, dove gli abitanti, la terra e il mare non appartengono alla Francia. Impossibile non sentire il profumo della frontiera e dei misteri che l’immenso oceano cela agli occhi degli uomini. In fin dei conti ci troviamo nel Finistère, il territorio bagnato dal Canale della Manica a nord e dall’Oceano Atlantico a sud e ovest, luogo famoso per le scogliere, gli alti fari e il mare impetuoso. Il nome deriva chiaramente dal latino “Finis terrae”, cioè il “confine della terra”, ma non è dissimile da quello bretone, la lingua parlata in questo luogo fino allo scoppio della Grande Guerra: Penn-ar-Bed, cioè Punta del mondo o Fine del mondo.

Douarnenez è un comune di 15.000 abitanti sempre rivolti con la loro anima verso il mare e verso le fortune e i pericoli che esso contiene. Era già un fiorente porto ai tempi della conquista romana, dedito alla pesca delle sardine e alla realizzazione del garum, una salsa a base di pesce essiccato e interiora di cui gli abitanti dell’Urbe andavano pazzi. Nel medioevo divenne famosa per l’esportazione delle tele da vela, mentre nei secoli successivi fece fortuna con la pesca intensiva delle sardine e con l’industria conserviera. Tra le barche che solcavano questi mari ruggenti vi erano le famose Bisquine, delle imbarcazioni a vela nate alla fine del Settecento talmente belle e performanti che due associazioni francesi decisero, alla fine del secolo scorso, di costruirne delle repliche, la Cancalaise e la Granvillaise, ancora visibili e regatanti nelle acque della Bretagna.

Anche il nome della città ha un’origine e una storia particolare. L’espressione bretone “douar an enez” significa “territorio dell’isola“, a ricordare l’isola di Tristan, che si trova davanti al porto e che attualmente è un parco protetto per la flora e la fauna. Un tempo era invece la dimora del terribile Guy Eder de la Fontanelle (1573-1602), detto Ar Bleiz, cioè il Lupo. Famoso per la sua crudeltà e per gli innumerevoli omicidi, saccheggi e stupri, venne infine giustiziato a Parigi per motivi politici mediante il supplizio della ruota.

Oggi Douarnenez è un paese molto tranquillo e pieno di turisti, che ricorda il suo passato con lo sguardo sempre rivolto al mare. Oltre a numerosi club di vela, nella cittadina si trova anche un eccezionale centre de plongée, l’Aqua Club Douarnenez, che ha recuperato una vecchia pinaccia del 1953 e l’ha ristrutturata rendendola perfettamente in grado di navigare. Anzi, è stata così ben restaurata che lo Stato francese l’ha nominata monumento nazionale, proteggendola negli anni a venire. Il suo nome è “La Reine de l’Arvor“. Con questa barca sono uscito più volte alla caccia dei relitti della zona. Uno di essi aveva un legame particolare con uno dei subacquei del club.

Il peschereccio Perle

La Perle era un peschereccio in ferro costruito a Ziegler, vicino a Dunkerque, nel 1971. Era lungo 54,3 metri x 9,8 di larghezza, con un tonnellaggio di 382 GRT. Era mosso da un motore diesel e un’unica elica. Oltre che alle attività di pesca, era stato destinato alla formazione dei futuri ufficiali della Marina mercantile francese, che su di esso imparavano ad andare per mare e a cavarsela nelle condizioni più critiche dell’Atlantico settentrionale.

Il 16 dicembre 1984 la barca stava ritornando da Lorient con a bordo tredici uomini dell’equipaggio e diciassette studenti, quando, tra il Pointe du Van e il Cap de la Chèvre, finì per incocciare la Basse-Jaune, una roccia che si alza pericolosamente dal fondo del mare. Mentre veniva soccorsa dalla barca di salvataggio Ville de Paris, proveniente dall’Île de Sein, e da un’altra giunta prontamente da Douarnenez, gli uomini a bordo facevano tutto quanto era possibile per salvarla dall’affondamento.

Lavorarono instancabilmente per buttare fuori bordo l’acqua che entrava a fiotti nello scafo, mentre le altre due imbarcazioni la rimorchiavano e utilizzavano le loro pompe di sentina per tenerla a galla: speravano così di riuscire a giungere in porto o almeno di spiaggiarla vicino alla città. Una volta giunti presso l’isola di Tristan, però, i marinai della Perle dovettero cedere alle acque del mare, che inghiottirono la loro barca. Fortunatamente non ci furono vittime nell’affondamento, perché vennero tutti tratti in salvo dalle imbarcazioni di soccorso.

Furono fatti diversi tentativi per recuperarla ma poi ci si rese conto che lo scafo era ormai perduto e che le riparazioni sarebbero costate più della nave stessa. Nel marzo 1985 venne quindi tirata in qualche modo a galla e il 24 del mese fu affondata nella baia di Douarnenez, ad una profondità che non desse problemi alla navigazione. Ora giace in ottime condizioni su un fondale di circa 33 metri, in assetto di navigazione, leggermente inclinata verso tribordo di una trentina di gradi.

L’immersione

François, uno dei subacquei che mi accompagnò sul relitto, aveva navigato come giovane allievo sulla Perle, nella speranza di diventare ufficiale della Marina mercantile. I suoi occhi si facevano lucidi al ricordo dell’imbarcazione, delle avventure vissute a bordo, dei compagni e, senza dubbio, di tutti gli anni passati da allora. Fu la mia prima immersione con questo gruppo di eccezionali subacquei e la feci con due angeli custodi ai lati: François e Thierry, il responsabile del club. Non si fidavano delle mie capacità, era ovvio. Per loro ero un subacqueo italiano abituato alla luce e all’assenza di correnti tipiche del Mediterraneo: lasciarmi là sotto non avrebbe fatto una buona pubblicità al diving.

Invece fu un’immersione meravigliosa, con qualche brevissima penetrazione all’interno, ora non più possibile per il decadimento delle strutture. La temperatura sul fondo era di 14 gradi, con una visibilità di circa 5 metri, eccezionale per questi fondali. I bretoni, però, non sapevano del mio amore per le acque lacustri: ero ben abituato a queste due difficoltà e solo la corrente poteva impensierirmi sul serio. Tra l’altro, ero l’unico dotato di muta stagna e ogni cosa mi faceva stare a mio agio. I bretoni, uomini veri, scendevano infatti con la umida, con la quale il freddo doveva farsi sentire eccome.

Il relitto, come si può ben immaginare, era diventato un condominio frequentatissimo dalle specie marine: anemoni, alcionari, stelle marine, spugne, nuvole infinite di tacauds, i merluzzetti fasciati, granchi, astici, gronghi e piccoli banchi di sardine. Un’immersione fantastica, anche se così diversa da quelle a cui siamo abituati nei nostri mari. I miei due angeli custodi si rilassarono in breve tempo, vedendo che non creavo loro problemi di sorta. L’unico vero problema fu che fotografando e filmando non mi resi conto che era giunto, troppo velocemente, il tempo di risalire.

Cercai di insistere ma la sicurezza veniva prima di tutto. Avevano naturalmente ragione loro: in queste condizioni non si scherza. Al ritorno il mare stava montando ma mi guadagnai un altro punto di rispetto godendomi la tradizionale baguette con il paté di jambon Hénaff innaffiata da un bicchiere di vino rosso, mentre il mare spumeggiava sul ponte della Reine de l’Arvor.

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