Ancore e anfore a Pantelleria

Data la sua posizione centrale nel Mediterraneo è stata punto di passaggio da tempi immemori: non è quindi un caso che le acque di Pantelleria siano piene di reperti antichi

28 January 2024 | di Paolo Ponga

Pantelleria è un’isola meravigliosa, dove la natura ha creato un paesaggio incredibile, nato dal fuoco dei suoi vulcani. Su di essa gli uomini hanno vissuto sin dall’Età del Bronzo, lottando contro la solitudine, le avversità e il mare, adattandosi a una terra più che selvaggia. È un posto unico, dai colori intensi e dalle forti emozioni, dove la nera lava contrasta il blu notte del mare e il verde delle coltivazioni così duramente ottenute dall’uomo, come la vite ad alberello dello Zibibbo, divenuta Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO nel 2014, e i famosi ed eccezionali capperi.

Qui gli uomini sono vissuti facendo i muri a secco per spietrare il terreno, contenerlo, delimitare le proprietà e proteggere le coltivazioni dal vento. Hanno poi costruito i giardini panteschi, opere solitamente di forma cilindrica fatte per proteggere gli agrumi, e i celebri dammusi, antichi esempi di architettura bioclimatica fatti di sola pietra lavica e calce, con un’architettura a moduli cubici, aperture ad arco a tutto sesto e tetti bianchi a cupola.

Data la sua posizione centrale nel Mediterraneo, più vicina all’Africa che alla Sicilia, è stata punto di passaggio da tempi immemori: nelle sue baie ancoravano navi dell’Età del Bronzo, fenicie, greche, cartaginesi e romane per ripararsi dalle tempeste, fare acqua e commerciare. In seguito si fermarono gli arabi, i normanni e i Borboni, senza contare le continue scorrerie saracene per predare i pochi averi degli abitanti e rapirli come schiavi. Non è quindi un caso che le acque di Pantelleria siano piene di reperti antichi.

Io ci sono stato alcuni anni fa, attirato proprio dai suoi fondali. Presi una vecchia macchina a noleggio, con la quale girai l’isola in lungo e in largo, spalmandomi di fango al Lago di Venere, sdraiandomi nell’acqua delle vasche termali e respirando getti di vapore sulfureo nelle grotte naturali. Assaporai soprattutto i rapporti umani, godendo al contempo della vista incredibile che offre l’isola in ogni suo angolo, mangiando pesce fresco e bevendo ottimo vino, in mezzo alla roccia nera che sembra capace di infondere energie e scaldare l’anima.

Gli itinerari sommersi

Ai tempi c’era la possibilità di immergersi in un unico percorso archeologico sommerso, quello di Cala Gadir, creato in collaborazione con il compianto archeologo Sebastiano Tusa. Oggi gli itinerari archeologici subacquei sono addirittura cinque: Cala Gadir, Cala Tramontana, Punta Limarsi, Punta Tracino e Punta Tre Pietre. Tutte zone in cui le antiche imbarcazioni si fermavano per ripararsi dai venti e dalle tempeste. Ovunque ci sono anfore, ancore litiche e di piombo e ceramica varia. In un caso un carico di selce rossa grezza e lavorata di età preistorica, in altri resti di imbarcazioni bizantine medievali.

A Cala Gadir e Punta Tracino le visite sono ripartite ufficialmente a luglio 2022, grazie a una messa in sicurezza del sito e alla collocazione delle boe di ormeggio, realizzata dalla Soprintendenza del Mare in collaborazione con i diving center dell’isola. Qui è oggi possibile percorrere una specie di visita guidata al passato, fatta sotto le onde.

Cala Gadir

Cala Gadir, dove mi immersi qualche anno fa, è una baia utilizzata fin dall’antichità, essendo ben riparata da tutti i venti eccetto quello di levante. Il nome deriva dall’arabo, con il significato di “conca d’acqua“, ed è oggi sede di un piccolo villaggio affacciato sul mare, disposto a semicerchio di fronte a un porticciolo dove vengono ormeggiate le barchine dei pescatori. In alcune vasche scavate nella roccia sgorga acqua termale tra i 40 e i 55 gradi, ricca di sali minerali con efficacia terapeutica per artrosi, reumatismi e sinusiti, il cui effetto era già noto ai tempi dei Fenici.

Nelle acque antistanti il villaggio si ancoravano le navi antiche e almeno due di esse sono affondate in questo luogo: la prima trasportava anfore puniche e greco-italiche in un periodo a cavallo tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C., la seconda  è invece successivo di un secolo e trasportava anfore cartaginesi e romane. Questi ritrovamenti confermano, se ce ne fosse la necessità, l’importanza di Pantelleria nelle rotte commerciali del Mediterraneo antico.

L’immersione

La mia immersione, condotta da un’ottima guida di un diving pantesco, si sviluppò seguendo una colata di roccia vulcanica che termina a circa 30 metri di profondità, in una distesa di sabbia bianca. Il percorso archeologico inizia ancora oggi intorno ai 18 metri, dove si cominciano a vedere i reperti in mezzo alla posidonia, etichettati con delle lavagnette esplicative sulla tipologia, l’utilizzo e l’epoca di produzione. Tra questi un bellissimo ceppo d’ancora in piombo di origine romana del peso di circa tre quintali, due anfore puniche, una romana, altre greco-italiche e dei residui in legno del relitto. Alla fine, risulta un’immersione imperdibile per i subacquei che vengono a visitare i fondali dell’isola, un museo didattico con didascalie che descrivono l’area e una cinquantina di reperti che vanno dal III secolo a.C. al II d.C.

Oltre ai reperti antichi, però, non bisogna dimenticare che ci troviamo nel nostro meraviglioso Mediterraneo: castagnole, saraghi, salpe, aragoste, scorfani e murene saranno sempre presenti durante i tuffi sotto la superficie, con la possibilità di incrociare anche pesce di passo avvicinatosi alle coste vulcaniche. Finita l’immersione, non rimane che sedersi comodamente a osservare un incredibile tramonto, che nelle giornate limpide avviene dietro l’Africa, con un bicchiere di eccezionale passito in mano. E poco dopo ecco un cielo stracolmo di stelle, le stesse che indicavano la via agli antichi naviganti.

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