La temibile piovra gigante, il più famoso mostro degli oceani – Parte 1

Cosa c’è di vero e cosa c’è di leggendario nella mitologica creatura che ha terrorizzato i marinai di tutti i secoli

Fu Plinio il Vecchio, da quanto ne possiamo sapere, il primo a raccontare della piovra gigante e del terrore che questo animale spargeva tra i marinai. Nella sua opera più conosciuta, Naturalis Historia, che poi è anche l’unica che sia giunta sino a noi,  il grande naturalista vissuto nel primo secolo D. C. racconta che un misterioso animale marino, da lui chiamato “ozena”, aveva l’abitudine di uscire di notte per saccheggiare i vivai di ostriche destinati alle tavole dei ricchi patrizi romani.

Inutile tentare di difendere i pregiati molluschi con reti e barriere marine. L’ozena, termine che potremmo tradurre con “puzzolente” (nella moderna medicina infatti il termine indica una fastidiosa rinite caratterizzata dal rilascio di abbondante muco nasale), riusciva sempre a carpire le sue prede, lasciando ai pescatori solo i gusci vuoti ed un persistente e nauseabondo odore. Come facesse l’ozena ad entrare nei vivai, lo si scoprì una notte di luna piena, grazie ai cani con i quali i pescatori avevano preso a pattugliare i dintorni dell’area adibita alla coltivazione dei molluschi.

Attirati dal pestifero odore, i segugi sorpresero l’ozena – che Plinio descrive come un gigantesco polpo con i canonici 8 tentacoli e la testa grande come “15 anfore” – che saltava da un albero all’altro neanche fosse un qualsiasi Tarzan della giungla, per aggirare via terra le barriere marine. Ne seguì una furibonda battaglia a colpi di gladio e di arpioni che meriterebbe di essere disegnata dall’autore di Goldrake. Alla fine del sanguinoso combattimento, i pescatori ebbero la meglio sul temibile polpo gigante. I resti dell’animale, i cui tentacoli erano talmente grossi che a stento un uomo riusciva e cingerli con le braccia, finirono nella tavola di Lucullo, noto crapulone romano, che riuscì – e nemmeno Plinio il Vecchio seppe descrivere come – a mangiarselo tutto! 

Plinio, lo avrete intuito, era uno a cui piaceva contarle grosse come la testa della sua ozena. Ma la vicenda del polpo che si nutre delle ostriche di allevamento è comunque credibile e la descrizione, sia pure un tantinello esagerata nelle proporzioni che ne fa il nostro naturalista destinato a perire sotto la lava del Vesuvio, rimane la prima narrazione che abbiamo di questo animale che magari non si arrampicava sugli alberi ma era sicuramente abbastanza intelligente da superare le barriere dei vivai romani per gustarsi la sua cena a base di ostriche. 

I mostri del mare artico secondo la Carta marina disegnata dal vescovo Olaus Magnus

La piovra o, se preferite il polpo gigante, entra così nella letteratura marinara dell’occidente e si fa subito largo nei capitoli più neri di questa letteratura: quella dei terrificanti mostri marini. 

Una fama meritata? Nessuno, per secoli, ebbe dubbi a riguardo. Non ne ebbe Olav Manson, il vescovo svedese trasferitosi a Roma nei primi anni del 1500 dalla nativa Linköping, che volle raccontare come viveva la gente di casa sua ad un pubblico mediterraneo che la Scandinavia manco sapeva dove fosse. Per catturare l’attenzione dei suoi lettori – oggi diremmo per avere più like sui suoi post – il vescovo pensò bene di esagerare un pochetto nel sottolineare la spaventosa mostruosità degli animali che, a suo dire, vivono nelle profondità del gelido mare artico.

“Pesci mostruosi la cui crudeltà è talmente evidente da terrorizzare gli uomini col solo aspetto”, scrive nella sua Historia de gentibus septentrionalibus. Tra “forme orribili, teste rozze coperte di aculei” e altre soavità, il vescovo che si firmava alla latina, Olaus Magnus, non esita a sottolineare come la bestia più terribile di tutto il circo sia proprio lei, la piovra gigante, che “appare ai pescatori come un fuoco sotto il mare” ed è facilmente in grado di “mandare a picco grosse navi pur condotte da forti e valenti marinai”.

Va bene, direte voi, ma siamo sempre nel campo della letteratura. Magnus era un vescovo cattolico. Di mare e navigazione parlava e scriveva solo per sentito dire. Ma ci sono racconti di marinai veri, marinai che abbiano alzato le vele con la forza delle mani e non solo con i voli della fantasia, che descrivono attacchi di questi mostri tentacolari?

Sì, sì, vi rispondo io. E pure parecchi. E non soltanto di superstiziosi pescatori medioevali ma anche di capitani di petroliere o di marinai imbarcati su moderne navi da guerra. Ma di questo, parleremo nella prossima puntata!

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