Il naufragio e il ritrovamento della Blythe Star: la più grande tragedia marittima dell’Australia

Mezzo secolo dopo è stato ritrovato al largo della Tasmania il relitto del cargo mai arrivato al porto di King Island

La recente notizia del ritrovamento del relitto della Blythe Star è balzata nelle prime pagine di tutti i giornali australiani con titoli come “Risolto il più grande mistero marittimo” o “Cinquant’anni dopo, ritrovata la nave della tragedia”. L’affondamento del cargo Blythe Star infatti, pure se poco noto nel resto del mondo, è considerata dagli australiani come la più grande tragedia navale che ha colpito il loro Paese, non tanto per il numero di vittime, quanto per la modalità in cui si è svolta la tragedia e per gli errori commessi dai soccorritori e dagli stessi naufraghi.

All’epoca del disastro la vicenda suscitò tanto scalpore che il Parlamento australiano dovette riscrivere tutte le leggi sul soccorso in mare, introducendo l’obbligo di avere a bordo un sistema di segnalazione automatico della posizione. Il governo, inoltre, fu spinto a potenziare la Guardia Costiera che, ancora oggi, è considerata tra le migliori e le meglio equipaggiate del mondo. 

Ma cosa accadde mezzo secolo fa nel mar di Tasmania? Il cargo da trasporto Blythe Star era salpato nella tarda serata del 12 ottobre 1973 dal porto di Hobart, situato nella costa meridionale dell’isola di Tasmania diretto ad un’altra isola, King Island, per portare un carico di birra. Il viaggio sarebbe dovuto durare due giorni al massimo. Siamo nella costa meridionale del continente australiano, precisamente nello stretto di Bass.

“Blythe” è un termine arcaico inglese, ancora in uso in Australia, traducibile con “contento” o “felice”. La mattina del 13 ottobre, per motivi mai chiariti, la “Stella felice” si inclinò sul lato di dritta e cominciò ad imbarcare acqua. L’affondamento fu talmente veloce che – così perlomeno raccontano i sopravvissuti – i dieci marinai che si trovavano a bordo del cargo non ebbero il tempo di lanciare l’allarme e si imbarcarono sulla scialuppa di salvataggio, dimenticandosi anche di prendere la radio di bordo con la quale avrebbero potuto segnalare la loro posizione alla Guardia Costiera. 

Le ricerche quindi cominciarono con due giorni di ritardo, quando a King Island si accorsero che la Blythe Star non era arrivata. Per una settimana la Guardia Costiera setacciò il mare tra il porto di Hobart e l’isola di King senza trovare traccia alcuna dei naufraghi. E la faccenda è piuttosto strana perché le condizioni del mare erano buone e i soccorritori impiegarono nella ricerche ben 14 aerei. Fatto sta che non riuscirono a trovare traccia della scialuppa di salvataggio e, una settimana dopo, i marinai della Blythe Star furono dichiarati morti. 

I marinai della Blythe, invece, erano ancora vivi mentre le correnti marine li trasportavano verso est, a bordo del gommone di salvataggio. Racconta Michael Doleman che era il marinaio più giovane della Blythe Star e all’epoca del naufragio aveva appena 18 anni, che all’inizio i sopravvissuti non erano troppo preoccupati per la loro sorte. Nella scialuppa avevano viveri sufficienti e razzi di segnalazione. Inoltre quel tratto di mare incrociava una rotta battuta da molti carghi come il loro. Eppure nessuna nave arrivò a salvarli e le provviste finirono presto, compresa l’acqua potabile.

Tre giorni dopo, ci fu la prima vittima: il secondo ufficiale. Per qualche giorno i marinai tennero il cadavere a bordo, sempre contando che la Guardia Costiera o una nave di passaggio li avrebbero soccorsi presto. Alla fine si decisero ad abbandonare il corpo in mare. Il gommone intanto veniva spinto sempre più ad est. In varie occasioni, i naufraghi costeggiarono delle isole e i marinai sperarono di raggiungere la spiaggia e di salvarsi ma la scialuppa non era dotata di remi e la presenza di squali impediva loro di tuffarsi a nuoto.

Alla fine, dopo circa sette giorni, la scialuppa venne spinta dalla corrente sulla costa rocciosa della  penisola di Forestier. Altri due marinai persero la vita e i sopravvissuti erano conciati così male da non riuscire a stare in piedi. Quel tratto di costa inoltre era circondato da una vegetazione fitta e selvaggia, senza nessun  insediamento umano nelle vicinanze. Fu il più giovane di loro, Michael Doleman, che decise di affrontare la foresta e si mise in cammino per cercare soccorso. Tre giorni dopo, più morto che vivo, raggiunse una strada dove un’auto di passaggio lo soccorse trasportandolo all’ospedale più vicino. Quando un infermiere gli chiese chi fosse, Doleman rispose che era un marinaio della Blythe Star. “Ma no! – gli ribatté l’uomo – Siete tutti morti! Vi hanno fatto anche il funerale!”.

I naufraghi superstiti furono immediatamente recuperati da un elicottero. Il relitto della Blythe Star fu cercato inutilmente per anni. Solo nel maggio scorso la nave fu trovata da una equipe di studiosi dell’Università della Tasmania e del Csiro, l’agenzia governativa australiana di ricerca scientifica, impegnata a misurare i movimenti del fondale marino, a circa 6 miglia dalla punta più a sud ovest dell’isola di Tasmania, su un fondale di 150 metri. E’ stato proprio Michael Doleman, l’unico marinaio ancora vivo dei sette sopravvissuti al naufragio,  a confermare che il relitto, le cui immagini venivano trasmesse sul monitor dalla sonda marina, era quello della Stella Felice. “Sì, sì, è proprio lei – disse – si è conservata bene per essere passati 50 anni. Meglio di me”.

 

Immagine di copertina “MV Blythe Star. ©  Queen Victoria Museum via AUCHD” tratta dal sito del Csiro

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