Il Museo Navale di Pegli, alla scoperta di un gioiello poco conosciuto

Il museo è stato istituito nel 1930 con la raccolta di modelli, libri, incisioni e dipinti donata a Genova dall’ingegnere navale Fabio Garelli

4 February 2020 | di Paolo Ponga

Pegli, famoso quartiere del ponente genovese, fino al 1926 era un Comune autonomo e meta di soggiorno di nobili e ricchi borghesi del capoluogo ligure. Ancora oggi vi sono tracce di questo illustre passato, come testimoniano le belle ville e la sequenza di case di pescatori ed eleganti palazzi ottocenteschi che si affacciano sul lungomare, non interrotti da industrie o costruzioni più moderne.

La sua origine è antichissima e vede la fondazione ad opera dei Liguri Veturii, con il toponimo della città a rappresentare probabilmente il “passo tra i monti” che porta a nord verso il Piemonte. Rimasto per secoli un piccolo paese di pescatori con un piccolo porto, visse una grande espansione durante la seconda metà del Cinquecento, quando, per il clima particolarmente mite del luogo, diverse famiglie patrizie genovesi decisero di costruire qui le loro residenze.

Una di queste, costruita nel 1540 da Adamo Centurione in quella che attualmente è piazza Bonavino, nel 1580 divenne proprietà della famosa famiglia Doria, che la fece presto ampliare e ristrutturare e a cui rimase fino al 1908. Dal 1926 è passata al Comune di Genova e a partire dal 1930 è la sede del civico Museo Navale (e del liceo classico Giuseppe Mazzini), qui istituito portando la raccolta di modelli, libri, incisioni e dipinti donata a Genova nel 1922 dall’ingegnere navale Fabio Garelli.

Infine, dai primi anni 2000, la villa e il parco sono stati oggetto di lavori di recupero, che li hanno resi maggiormente fruibili a tutti, senza intaccare però il progetto originario e valorizzando i pregevoli affreschi cinquecenteschi di Ottavio Semino, Nicolosio Granello ed altri pittori poi incaricati dai Doria.

Superata la porta d’ingresso, prima di arrivare alla biglietteria e ai suoi gentilissimi addetti, si può notare una particolarità: sugli stipiti in ardesia delle porte dell’atrio ci sono dei graffiti con i nomi delle guardie che stavano di stanza all’ingresso, proteggendo Giovanni Andrea Doria alla fine del Cinquecento da possibili attacchi di banditi o pirati. Superata la sala al piano terra, un ripido scalone conduce al piano nobile, dove si aprono gli accessi alle varie sale espositive, nelle quali il tema è sempre quello del rapporto fra la riviera ligure e il mare.

La prima sala, definita di “Pegli picta“, illustra attraverso dipinti ad acquerello e stampe risalenti agli ultimi due secoli la particolarità del borgo, rimasto luogo di amena villeggiatura anche durante le espansioni industriali dei vicini quartieri di Sestri e Prà-Voltri.

La seconda sala, intitolata “Le colonie dei genovesi“, è molto importante per comprendere l’espansione di Genova nel Mediterraneo. Si riferisce, infatti, ad una rete di colonie non improntate su un possesso territoriale mantenuto con la forza delle armi ma attraverso la diplomazia e il commercio. In questo modo molte di esse riuscirono a sopravvivere in contesti difficili ed ostili per molti secoli, anche asservendosi politicamente ad un temibile avversario politico e religioso: l’Impero Ottomano.

Un esempio è dato dall’isola di Chios, oggi appartenente alla Grecia e qui rappresentata da un dipinto, che venne conquistata nel 1346 da Simone Vignoso e rimase punto focale dei commerci con l’Oriente per oltre due secoli. Famosa per la produzione del mastice, una specie di resina cristallizzata usata come gomma da masticare per l’igiene dei denti, venne conquistata solo nel 1566 dai turchi, inferociti per la fallita invasione di Malta.

Sono circa un centinaio le colonie e le basi commerciali create dai genovesi all’estero, in tutto il Mare Nostrum e non solo, come ricordano due lapidi commemorative qui presenti, quelle di Cembalo, l’attuale Balaklava nel Mar Nero, possedimento ligure dal 1344 al 1475, riportate dai bersaglieri italiani durante la guerra di Crimea e donate alla città dal generale Alfonso La Marmora.

Un altro dipinto nella sala ricorda quella che fu una famosa colonia genovese in territorio ottomano: Tabarka. Concessa nel 1540 dal bey di Tunisi alla famiglia Lomellini come pagamento del riscatto per il famoso corsaro Dragut, venne colonizzata dagli abitanti di Pegli, dove i Lomellini, che erano legati ai Doria, possedevano numerose proprietà.

A Tabarka i pegliesi vissero per secoli pescando il corallo e commerciando schiavi, fino a quando una parte di essi nel 1738 fondò Carloforte, in Sardegna, e gli altri vennero fatti a loro volta schiavi dai tunisini nel 1741. Tabarka, sotto certi aspetti, è un simbolo dell’espansionismo genovese sempre legato agli affari e ai commerci, spesso rivolti in direzioni diverse dalle potenze europee che potevano minare la sua autonomia, in primis i Savoia e il re di Francia.

La terza sala, intitolata “Nuovi capitani e nuovi strumenti“, è legata allo sviluppo della marineria e dell’andare per mare del Settecento, secolo nel quale viene rivoluzionata la navigazione attraverso l’evoluzione delle imbarcazioni, degli strumenti (il cronometro marino, l’ottante, il cannocchiale) ed anche degli uomini, divenuti ufficiali di marina e capitani in senso moderno.

La quarta sala, quella dei “Marinisti“, ci porta nell’Ottocento, di fronte alle opere di quelli che venivano definiti “i ritrattisti di navi”, tra i quali a Genova spiccavano Domenico Gavarrone e Angelo Arpe, che illustravano con sapienza la bellezza delle navi della seconda metà di quel secolo, mentre la quinta sala, denominata “La costruzione navale“, racconta l’ultima stagione della cantieristica navale ligure, durante la trasformazione dalla navigazione a vela a quella dei battelli a vapore in ferro. Pregevole è il diorama della costruzione della pirocorvetta Principessa Clotilde, realizzato nel primo decennio del secolo scorso.

Nella sesta sala, “La bottega del velaio“, sembra di essere veramente in un’antica bottega dove venivano cucite a mano le vele e le bandiere. D’altronde il materiale proviene davvero da una delle più antiche velerie di Genova, quella di Silvio Lami, chiusa nel 1990.

La settima sala è intitolata “Lo scagno dell’armatore“. Questa figura, nell’era della navigazione a vela, era sovente la medesima del capitano della nave: quando le cose andavano bene, il proprietario della nave investiva nuovamente i proventi aumentando la flotta, magari con l’aiuto di qualche socio in affari. Il suo ufficio si chiamava scagno ed in esso si trovavano le polizze di carico (con l’indicazione della merce trasportata), quelle assicurative (nell’Ottocento a protezione dalla perdita o dal danneggiamento), i registri contabili e i libri di bordo.

L’ottava e ultima sala, quella che conclude il percorso espositivo, è definita “La fine dell’epoca della vela“. L’Ottocento vide, infatti, da un lato il perfezionarsi degli scafi a vela, che raggiungeranno il loro apice e verranno destinati ai commerci con l’Oriente, le Americhe e l’Australia, con battelli sempre più comodi e veloci, dall’altro la fine dell’epoca della navigazione a vela, tramite la costruzione di battelli in acciaio e a motore sempre più efficienti e performanti.

Infine, da questo piano è possibile uscire sul giardino posteriore, dove si trova una torre d’avvistamento cinquecentesca, ora sede di un’associazione archeologica e speleologica, il CSU sostenibile, divenuta nel tempo un’ente di ricerca.

Il piccolo museo, situato in una così prestigiosa dimora ricca di affreschi meravigliosi, dona al visitatore il fascino di avventure d’altri tempi, in cui il mare era più misterioso sopra e sotto la superficie ed era in grado di trasportare persone ed idee lontano, verso mondi sconosciuti. Una distesa non ancora conquistata dall’uomo, nella quale uomini veri lavoravano, commerciavano e lottavano per il futuro delle loro famiglie e della loro città.

Insieme al Galata Museo del Mare e al Museoteatro della Commenda, il Museo Navale di Pegli fa parte del circuito museale del Mu.MA – Istituzione Musei del Mare e delle Migrazioni, costituito nel 2005 e sede di diverse attività didattiche. Il museo si trova in piazza Cristoforo Bonavino 7 a Genova ed è aperto dal martedì al venerdì dalle 9 alle 13.30, il sabato dalle 10 alle 18 e la domenica dalle 10 alle 13, tranne d’estate. Chiuso il lunedì.

Per ogni informazione: 010.6969885 – museonavale@comune.genova.it.

Paolo Ponga

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