Il fascino del gyotaku e l’arte giapponese di stampare il pesce: videointervista all’artista Elena Di Capita
La tecnica del gyotaku (dal giapponese gyo “pesce” e taku “impronta di pietra”) arriva da lontano. Nasce nella prima metà del 1800 dai pescatori giapponesi che in questo modo imprimevano il ricordo delle loro prede più importanti
Fino al 16 gennaio a Sarzana, nello spazio Mazì progetti e oggetti di via Cattani, sarà possibile ammirare le opere dell’artista Elena Di Capita, la prima ad avere portato la magia del gyotaku in Italia. Classe 1985, Elena vive e produce i suoi lavori a Lavagna (Genova). La scoperta di questa antica tecnica di stampa giapponese è giunta, come a volte accade, come segno del destino, un po’ per caso.
“Prima di fare gyotaku – racconta Elena a Daily Nautica – facevo la restauratrice. Poi, avendo avuto un bambino, non potevo più andare in trasferta e mi sono messa a vendere nei mercatini oggetti di intonaco e acquarelli. Un giorno è passata una persona che mi ha suggerito di fare gyotaku, queste impronte di pesci veri, ottenute inchiostrando il pesce, sovrapponendo la carta giapponese e strofinando per ottenere l’impronta. Così iniziai ad esporre i miei primi lavori, fino ad arrivare, nel 2019 ad aprire lo studio. Poi è stato tutto un crescendo”.
La tecnica del gyotaku (dal giapponese gyo “pesce” e taku “impronta di pietra”) arriva da lontano. Nasce nella prima metà del 1800 dai pescatori giapponesi che in questo modo imprimevano il ricordo delle loro prede più importanti. Poi, parallelamente, si è sviluppata anche la tradizione artistica.
Gli elementi essenziali: pesce, inchiostro o colore e carta giapponese
Protagonisti sono il pesce, il mare e la sostenibilità. Il fascino del gyotaku nasce, forse, dal fatto che ciò che vediamo impresso sulla carta, non è la rappresentazione di un pesce o di una creatura marina ma, come spiega Elena, “è il pesce stesso che lascia la sua testimonianza. Lo percepisci e questo ha una potenza incredibile”.
Cavallo di battaglia di Elena, da buona ligure sono le stampe di acciughe. “Anche se poi – chiarisce – tendo a stampare ogni genere di pesce del Mediterraneo e non solo. Pur avendo fatto anche lavori all’estero, tendenzialmente mi piace raccontare della nostra fauna ittica”. I pesci, dopo essere stati stampati, possono essere mangiati. “È una cosa – conclude Elena- a cui tengo molto. Anche se si tratta di colori acrilici, il colore non penetra e quindi rimane sempre sulla superficie”.
Per conoscere di più sulle opere di Elena Di Capita QUI
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