Negli Stati Uniti sgominata organizzazione criminale dedita allo shark finning

L'indagine ha svelato che il commercio di pinne di pescecane era collegato a quello di animali selvatici protetti, al riciclaggio di denaro e allo spaccio di grossi quantitativi di droga

9 November 2020 | di Paolo Ponga

Shark finning si potrebbe tradurre in italiano “spinnamento“. Da un certo punto di vista potrebbe sembrare un’operazione logica nell’ambito della pesca a fini alimentari. Infatti, così come del maiale non si butta via niente, anche buona parte del corpo dello squalo viene impiegata per scopi diversi.

La cartilagine, ad esempio, sembra avere effetti benefici sui problemi articolari, la pelle è sempre stata utilizzata per le sue proprietà abrasive, mentre la carne, di solito messa sotto sale, ha sfamato intere generazioni di uomini tra l’Africa e l’Estremo Oriente. Le pinne, infine, vengono utilizzate per la famosa zuppa cinese di pinne di pescecane, ritenuta erroneamente panacea di diversi mali e afrodisiaca.

Appunto. Il problema è proprio questo. Si calcola che ogni anno dei circa 100 milioni di squali pescati, il 70% circa viene smembrato con la pratica dello shark finning. Di cosa si tratta? L’animale viene catturato, gli vengono tagliate le pinne e viene ributtato in mare a morire. Asfissiato. Compromettendo, inoltre, la sopravvivenza di alcune specie. Per questo motivo alcuni Stati hanno messo al bando questa forma di barbarie e gruppi ambientalisti stanno lavorando al fine di far promulgare leggi in tal senso, come in Gran Bretagna. Una delle nazioni che ha vietato la pratica dello shark finning sono gli Stati Uniti.

Una grande operazione di polizia multi-agenzia ha però da poco ottenuto un grande successo, scoprendo che il commercio illegale delle pinne si è legato ad altri traffici illeciti. D’altronde è un mercato che fa gola: si calcola che muova qualcosa come 1,2 miliardi di dollari all’anno. Le pinne di squalo sono infatti tra i prodotti ittici più costosi e vengono pagate al dettaglio fra i 400 e i 1000 dollari al chilogrammo. Negli Stati Uniti alcuni acquirenti considerano lo squalo balena e lo squalo elefante come animali da trofeo, arrivando a pagare 10 mila dollari per una pinna: una vera follia da appendere alla parete del salotto.

L’indagine, mossa dal procuratore della Georgia Bobby L. Christine, ha il nome in codice di “Operazione Apex” e ha coinvolto agenti del US Fish Wildlife Service (USFWS), della DEA (la Drug Enforcement Administration resa famosa da tanti film), della Homeland Security Investigations (HSI) e dell’US Marshals Service. Il risultato finale è stato l’arresto di 12 persone e la chiusura di due imprese che facevano commercio di contrabbando illegale internazionale, con sedi negli Stati Uniti, Hong Kong, Messico e Canada.

Ma soprattutto ha provato che il commercio di pinne di pescecane era unito a quello di animali selvatici protetti, al riciclaggio di denaro e allo spaccio di grossi quantitativi di droga, specialmente marijuana. Gli agenti hanno scoperto aziende fittizie e conti bancari in diversi Paesi, sequestrando 3,9 milioni di dollari in banconote e 4 milioni in oro e diamanti, oltre a 6 tonnellate di pinne di squalo. “Lo shark finning – ha affermato il procuratore Christine – è la barbara pratica di catturare gli squali in mare, tagliare loro le pinne e ributtare l’animale ferito in mare a morire”.

“Questo – ha aggiunto il procuratore della Georgia – viene fatto per sostenere la domanda della zuppa, una prelibatezza asiatica. Tuttavia, secondo la legge federale, alcune specie di squali sono protette per garantirne la sopravvivenza. Le nostre forze dell’ordine hanno messo fine ad una cospirazione tentacolare e internazionale che lavorava illegalmente almeno dal 2010″. Le accuse contro i membri della banda criminale sono molteplici e vanno dallo spaccio di droga al commercio delle pinne vietate. Gli arrestati rischiano ora lunghe pene detentive, che possono arrivare fino all’ergastolo.

 

Paolo Ponga

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