Scoperte due nuove specie di squali nell’Oceano Indiano

Il ritrovamento è stato fatto nelle acque dell’Oceano Indiano ad opera di due ricercatori inglesi

27 April 2020 | di Paolo Ponga
immagine di Simon Weigmann, le due nuove specie sono quelle ai lati
Le due nuove specie sono quelle ai lati (immagine di Simon Weigmann)

Una meravigliosa scoperta scientifica è stata fatta da due ricercatori dell’Università di Newcastle in Inghilterra. I dottori Per Berggren e Andrew Temple, con ricerche in mare ma soprattutto studiando le piccole attività di pesca che operano lungo le coste di Zanzibar e del Madagascar nell’Oceano Indiano, hanno scoperto due specie sconosciute di squali.

Si tratta di due nuove specie appartenenti alla famiglia Pristiophoridae, del genere Pliotrema, che fino ad ora si riteneva costituito da un’unica specie chiamata “Pliotrema Warreni“. Sono piccoli squali sega, simili ai pesci sega nella forma ma con delle differenze anatomiche. Le loro dimensioni non superano, infatti, gli 1,80 metri, contro i 5 metri dei pesci, hanno sei branchie situate prima delle pinne pettorali e non sul ventre, una differente forma del rostro e dei denti e sono dotati di barbigli.

Le due specie, completamente nuove per la scienza, sono state chiamate “Pliotrema Kajae” e “Pliotrema Annae“. Di loro si sa veramente poco: si nutrono di pesci, crostacei e calamari, che stordiscono e uccidono con i loro musi seghettati e poi, con rapidi tagli laterali, riducono in pezzi tanto piccoli da riuscire a inghiottirli. Sono animali ovovivipari, le femmine mettono al mondo tra i 5 e i 7 cuccioli per volta e sono totalmente innocui per l’uomo, come la maggior parte degli squali.

La scoperta di queste due nuove specie, chiamate in inglese “sawshark sixgill”, è assolutamente straordinaria, in quanto non solo evidenzia come sia ancora possibile studiare la biodiversità nelle acque costiere di tutto il mondo e trovare gradite sorprese ma anche quanto questa possa essere vulnerabile all’inquinamento o alla pesca poco monitorata da parte delle autorità. Le attività di pesca su piccola scala, infatti, impiegano circa il 95% dei pescatori del mondo e sono una fonte fondamentale di denaro e di cibo per le popolazioni costiere, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.

Purtroppo, senza adeguate informazioni ed un reale interesse, non è però possibile per i governi sviluppare programmi di gestione in grado di garantire una pesca sostenibile, proteggendo sia gli ecosistemi, sia le comunità di pescatori che da essi dipendono per la loro sopravvivenza. Non ci sono dati precisi ma viene calcolato che sulle coste dell’Africa Orientale operino circa mezzo milione di pescatori su più di 100 mila diverse imbarcazioni, che raccolgono i frutti del mare tramite reti da posta ancorate o galleggianti o tramite palamiti.

Si tratta di forme di pesca non selettive, che catturano tutto quello che passa. È necessario, quindi, sviluppare studi che possano consentire di valutare adeguatamente l’impatto della pesca su piccola scala sulla vita marina. Inoltre, questa scoperta dimostra il valore, per la comunità scientifica mondiale, del lavoro effettuato in collaborazione con le comunità locali, senza il cui aiuto sarebbe stato impossibile per i due ricercatori trovare questi animali. Occorre, quindi, proseguire sulla strada della ricerca di una pesca sostenibile per preservare il futuro a lungo termine di specie a rischio come queste, gli ecosistemi in cui vivono e le comunità che sopravvivono grazie ad essi.

Paolo Ponga

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