L’avventuroso viaggio di Pietro Querini, nobiluomo veneziano che partì per le Fiandre, naufragò in Norvegia e scoprì il baccalà – parte 2

Il mercante salpa da Candia su una caracca con le stive piene di botti di Malvasia e spezie pregiate. Fa vela verso il porto di Anversa ma una terrificante tempesta disalbera la nave e la spinge sulle frastagliate coste norvegesi

Il viaggiatore che si trovasse a passeggiare lungo la costa selvaggia dell’isola di Røst, che spazia su un mare in perenne burrasca tra stormi di chiassosi gabbiani, colonie di eleganti pulcinelle di mare ed imponenti cormorani in volo, rimarrebbe stupito nel trovarsi davanti ad una grande stele commemorativa. Difficile capirci qualcosa dalle scritte, a meno che il nostro viaggiatore non mastichi un po’ di norvegese, ma rimarrebbe senz’altro colpito nel leggere sopra una data, quella dell’anno domini 1432, il nome di un italiano: Pietro Querini.

La stele ricorda il naufragio nello scoglio di Sandoy, a  poche miglia di distanza, della caracca Gemma Querina che batteva la bandiera rosso dorata della Serenissima Repubblica. L’altra data che si legge sulla stele è quelle del 1932, che è l’anno del cinquecentesimo anniversario del naufragio, durante il quale gli isolani vollero realizzare il monumento a perenne ricordo dell’avvenimento.

Siamo nell’arcipelago delle isole Lofoten, poco più di 50 miglia a ponente dalla costa norvegese. Come fu che una caracca veneziana venisse a naufragare proprio qui, in questi gelidi mari a nord del circolo polare artico, è una di quelle storie che vale la pena di leggere e raccontare. 

La Gemma Querina, un vascello commerciale dalla stazza lorda di circa 700 tonnellate, era salpata dal porto di Candia, nome con cui era chiamata Creta ai tempi in cui era un possedimento veneziano, il 25 aprile del 1432. Il suo comandante ed armatore, Pietro Querini, commerciante, navigatore e patrizio veneziano con diritto a sedere nel Maggior Consiglio, l’aveva riempita di spezie, allume di rocca, cotone e soprattutto botti di pregiato vino Malvasia.

A bordo, l’equipaggio era composto da 68 marinai. Un numero considerevole per l’epoca ma la Serenissima era appena entrata in guerra con Genova e il nostro mercante aveva deciso di rafforzare l’equipaggio in previsione di brutti incontri in mare aperto. Proprio in considerazione dell’ennesimo conflitto con la Superba, il Querini aveva deciso di abbandonare le consuete destinazioni e seguire un rotta meno battuta in quegli anni. La sua intenzione era di far vela verso le Fiandre e di realizzare un gran guadagno vendendo le sue preziose mercanzie nel porto di Anversa dove la Malvasia veniva battuta a peso d’oro. 

Che il viaggio fosse nato sotto una cattiva stella, Pietro Querini lo intuì subito, quando, cinque giorni prima della sua partenza, lo raggiunse la notizia della morte del suo primogenito. Una settimana dopo, nel tentativo di approdare a Cadice, il timone sbattè sul fondale e si disarticolò. “Per colpa del pedota (timoniere) ignorante – scrive nel suo diario – accostati alla bassa di San Pietro, toccammo una roccia ed il timone uscì dalle cancare con grande pregiudizio”. 

Il viaggio Pietro Querini dall’isola di Candia al naufragio sul mare d’Islanda

L’equipaggio provò a risistemarlo ma senza risultati definitivi, tanto è vero che la nave fu costretta a fare una lunga tappa a Lisbona e attendere che la caracca venisse riparata in un cantiere. Il 14 settembre la Querina riprense comunque il mare, nonostante il parere negativo dei marinai locali che avevano messo in guardia il Querini di come l’inverno atlantico fosse ben diverso da quello adriatico. La nave infatti incontrò subito “nimichevoli venti” ma riuscì comunque a raggiungere il porto di Muros, in Galizia, e quindi a doppiare uno dei promontori più insidiosi del mondo per i naviganti, quello di Cabo Fisterra.

Il 9 novembre, la Gemma Querina entrò finalmente nel golfo di Biscaglia. Ma proprio quando la meta era vicina e la fortuna sembrava girare dalla parte del mercate veneziano, scoppiò il finimondo. Una violentissima tempesta investì la caracca. Un vento feroce strappò le vele della nave, mentre il timone cedette alla spinta della corrente e si spezzò. Il fortunale disalberò la caracca, che rimase in completa balia dell’oceano, senza nessuno strumento di governo.

Pietro e il suo equipaggio furono così costretti a liberarsi delle merci preziose ma continuarono a tenere duro sopra quel legno per oltre un mese. Quando la tempesta si placò un poco, si resero conto che la Querina era ingovernabile e perduta. Decisero quindi di affidare le loro sorti alle scialuppe di salvataggio. Il Querini e il suo luogotenente, Nicolò de Michiele, erano convinti che quell’ombra di terra che si scorgeva in lontananza fosse la costa d’Irlanda e tentarono di raggiungere la salvezza approdando sull’isola con tutto l’equipaggio.

Ma si sbagliavano. La Querina era stata scarrocciata dal temporale molto, molto più a nord. E quel miraggio di terra che compariva all’orizzonte era l’Islanda. Una meta impossibile da raggiungere per marinai stanchi, disperati e provati da lunghe sofferenze. Il viaggio di Pietro Querini, però, sarà ancora lungo e lo racconteremo nella prossima e ultima puntata. 

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1 commento

  1. Grazia Satta says:

    Bellissimo! Una narrazione leggera e travolgente, aspetto la prossima puntata. Peccato che sia l’ultima.p

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