New Blue Generation

Il campione di vela Andrea Henriquet accompagna i nostri lettori in un appassionante ed istruttivo viaggio alla scoperta dei marinai 4.0

Noi che l’estate al mare era un’estate in mare. Noi che partivamo alla mattina e alla sera al tramonto facevamo ancora l’ultimo bagno. Noi che conoscevamo per nome tutti gli scogli, il Carega, i Forni, La Neigra, La Ciappa… e cercavamo quello più alto per tuffarci. Noi che raccoglievamo con la maschera i muscoli per fare l’esca o una pietra per fare l’ancora, che varavamo una lancetta con i pali, che remavamo alla voga, che remavamo alla scia, che andavamo a vela, che andavamo a motore.

Noi che se si rompeva il remo: “se se rumpe a pa’ paghe u maina, se se rumpe u girun paga u padrun” (se si rompe la pala paga il marinaio, se si rompe il girone paga il padrone). Noi che alla fine dell’estate avevamo i capelli biondi perché bruciati dal sole e la pelle nera con gli aloni del sale. Noi che ci tuffavamo nelle onde quando c’era la mareggiata, che era bello fare il bagno quando pioveva, che era bello fare il bagno di notte, che era bello fare il bagno alla sera e alla mattina. Noi che legavamo, remavamo, ci tuffavamo, pescavamo, veleggiavamo, varavamo, alavamo, senza andare a scuola di nuoto, a scuola di vela, a scuola di canottaggio, a scuola di nodi, a scuola di ormeggi, a scuola di tuffi.

Noi che non avevamo letto Baudelaire (“uomo libero amerai sempre il mare…”) ma ci sentivamo liberi, che non avevamo letto Moitessier ma esploravamo perché era divertente vivere. Abbiamo cominciato allora ad amare il mare senza saperlo, a imparare dagli errori, a rispettare regole non scritte, a cercare soluzioni per divertirci di più. La natura, per un ragazzo, non è un panorama ma deve essere un campo giochi, un teatro ogni giorno diverso, dove possa essere protagonista, e non spettatore, di avventure continue, stimolato da obiettivi sempre nuovi. Quando incontri sul lavoro qualcuno che ha avuto quell’infanzia lo riconosci subito dalla manualità, da come si muove e da come affronta situazioni nuove in barca.

Certo, lo studio e la teoria sono fondamentali per completare i percorsi di crescita ma quell’equilibrio, quegli occhi, quella prontezza, non si insegnano più dopo i vent’anni. La preparazione del Salone Nautico è sempre occasione di riflessioni sulle competenze professionali che vengono coinvolte nella nautica da diporto. Da quando entriamo in campo con squadre a terra e sommozzatori per preparare le aree a mare dove ormeggeranno tutte le barche esposte, dal giorno dell’inaugurazione a quello della chiusura finale, è un susseguirsi continuo di abilità diverse: dal manovale al meccanico, fino all’ormeggiare un’imbarcazione o a condurla.

Allo stesso tempo è forte l’interagire con gli equipaggi e le attrezzature di imbarcazioni al massimo livello di tecnologia e impianti, per non parlare della necessità di tenere un livello estetico e di stile senza pari. Inoltre, da un paio di anni, si sta rafforzando clamorosamente anche l’attenzione verso l’ambiente e sta crescendo l’idea di una nuova coscienza e cultura nautica, legata ad un rapporto più sano ed emozionale con il mare e con la navigazione, anche in considerazione dell’impatto che ha avuto la pandemia di Covid.

In pratica, l’idea di una nuova generazione che possa avere nelle proprie corde passione, amore per il mare, acquaticità, abilità manuali marinaresche, che da ragazzo impari solo “giocando” con il mare, a cui si uniscano studi ed esperienze specifiche sull’ambiente, la barca e la navigazione. Solo così si può pensare che una professione porti un valore aggiunto ad un sistema. Vogliamo e dobbiamo far nascere una nuova generazione di marinai con valori non insegnati a scuola ma trasmessi per osmosi da una raffica di vento che colpisce la vela, attraversa una scotta e arriva come una scossa di energia sulla mano, trasformandosi in pensiero, in emozione, in voglia di crescere.

“Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini solo per raccogliere il legno e distribuire i compiti ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito”.

Antoine-Marie-Roger de Saint-Exupéry

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