Diario del comandante. Dall’Atlantico al Pacifico navigando attraverso la Patagonia bellissima e selvaggia

Il programma era veramente interessante: superare lo stretto di Magellano e passare "dall’altra parte", dall’Atlantico al Pacifico attraverso i canali Patagonici

Mi ritengo una persona molto fortunata. Sono in salute, ho una bella famiglia e faccio un lavoro che amo. Navigare è sempre stato nel DNA mio e della mia famiglia e durante la mia carriera ho avuto l’opportunità di girare il mondo e visitare luoghi che mai avrei sperato di vedere.

Nel 2007 ho avuto il privilegio di essere assunto al comando di Tribù (50 metri di Mondomarine), uno dei primi explorer yacht nati con lo scopo di visitare aree remote del pianeta e di navigare le cosiddette “off the beaten tracks”, rotte al di fuori dei circuiti tradizionali dello yachting. Questo grazie anche ad un armatore visionario ed avventuriero.

Durante i miei 4 anni a bordo, Tribù ha visitato 34 differenti nazioni e navigato molti mari: Mediterraneo, Caraibi, Atlantico, Pacifico e Tasman sea, solo per nominarne alcuni. Ho ricordi fantastici di ogni momento a bordo, anche dei più difficili: Brasile, Alaska, Canada, Nuova Zelanda, Tasmania, le isole Fiji, gli atolli sperduti nel Pacifico, la Polinesia Francese, tutti posti meravigliosi. Ma c’è una crociera che non scorderò mai, sia per le meraviglie viste che per le difficoltà di vario tipo affrontate.

Dall’Atlantico al Pacifico: navigare la Patagonia

Avevo raggiunto la nave a Punta Arenas, in Cile, dopo un paio di settimane di riposo a seguito di una traversata da Genova a Rio de Janeiro. Il programma era veramente interessante: navigare la Patagonia attraverso lo stretto di Magellano e passare “dall’altra parte”, ovvero dall’Atlantico al Pacifico navigando verso ovest attraverso i canali Patagonici.

Avevo trascorso le mie vacanze (ed anche i mesi precedenti) raccogliendo informazioni di ogni tipo, preparando rotte ed escursioni e mi sentivo pronto e, come tutto l’equipaggio, terribilmente eccitato ma anche un po’ preoccupato. Nessun rischio, ma le varianti, soprattutto quelle meteorologiche, a quelle latitudini sono abbastanza complesse. Dovevamo imbarcare gli ospiti a Ushuaia, dopo circa 36 ore di navigazione, e partimmo quindi con un buon anticipo per non mancare l’appuntamento.

Ushuaia: fin del mondo, principio de todo

Già la partenza nel tardo pomeriggio ci fece presagire ciò che ci aspettava: panorami fantastici e cromie uniche. Si navigava nella leggenda: la Terra del Fuoco, i canali Patagonici, le rotte di Magellano… Arrivammo ad Ushuaia con le prime luci del mattino. La città più a sud del mondo. Una scritta su un muraglione, ben visibile dal mare, ci accolse: “Ushuaia, fin del mondo, principio de todo”.

Attraccammo all’unico molo disponibile, tra rimorchiatori oceanici e qualche cargo, in attesa degli ospiti. Al loro arrivo, dopo aver esaminato le condizioni meteo e le varie opzioni, decidemmo di puntare alto: destinazione Capo Horn. Eravamo già li, a poche ore di navigazione, quindi perché no?

Navigammo verso est lungo il canale Beagle, formalità doganali a Puerto Williams e dopo circa 16 ore eccoci a Isla de Hornos. La giornata era bella, quindi decidemmo di dare fondo subito a ridosso del capo, nella Caleata Leon, e di sbarcare gli ospiti a terra, per dargli modo di visitare il faro ed il monumento all’Albatross.

Potete immaginare per un marinaio cosa significhi essere lì, a Capo Horn, ed esserci arrivato navigando con la sua nave. Tutto andò per il meglio, gli ospiti, felicissimi, rientrarono a bordo e salpammo, per circumnavigare il capo e rientrare nei canali. Prima però mi rimaneva da fare una cosa…

Avevo perso mio padre pochi mesi prima, anche lui marinaio e comandante, e, dopo la sua cremazione, avevo tenuto la targa con il suo nome. L’avevo portata con me, aspettando il momento giusto per abbandonarla al mare, ed è ciò che feci quando doppiammo capo Horn. Quale posto migliore al mondo? Un bel lancio, un ultimo saluto e via, il suo nome per sempre sul fondale a 56 gradi sud.

Puerto Williams: benvenuti al Micalvi yacht club

La sera stessa attraccammo a Puerto Williams, e fu finalmente il momento di gustarci un pisco sour al mitico Micalvi Yacht Club. Il Micalvi è un posto veramente speciale e unico. Uno pseudo yacht club che ha base su di un cargo dismesso della Marina cilena ormeggiato ad un pontone di Puerto Williams.

È un posto magico, paragonabile al bar di Star Wars, dove puoi incontrare chiunque, dal miliardario svizzero in attesa di imbarcare per una spedizione vip all’Antartide allo studente squattrinato e avventuriero. I giorni successivi furono altrettanto intensi ed emozionanti.

Navigammo nei canali e nella Via dei Ghiacciai (Olanda, Italia, Francia, Germania, Romanche) arrivando infine al ghiacciaio Garibaldi dove, incredibilmente, vedemmo una coppia di Condor volare in lontananza sopra le nostre teste. Un altro momento magico.

Facemmo un’ulteriore sosta a Puerto Natales, per permettere agli ospiti di effettuare un’escursione al parco di Torres del Paine, poi ancora nei canali, fino al ghiaccio Pio XI. Quindi, risalendo a nord, il Golfo de Peñas, dove prendemmo un bel forza 6 nel muso e, dopo aver visitato la laguna San Rafael, la sosta all’ancora a Puerto Chacabuco. C’eravamo fermati per far fare un’escursione agli ospiti a Puerto Aysen e Coyhaicue e la giornata era ventosa, ma niente di diverso dalle precedenti.

Navigare in condizioni estreme

Avevamo sempre navigato, a parte la bonaccia dei ghiacciai, in condizioni abbastanza estreme, con vento e correnti impegnative. Ad un certo punto il vento aumentò e lì la natura mostrò ancora di più la sua forza. Una raffica di vento catabatico investì la nave e tutto iniziò a volare.

Durò pochi secondi e non subimmo molti danni, a parte qualche cielino dei soffitti strappato e volato in mare e, per fortuna, l’ancora tenne la nave saldamente legata. Guardai subito l’anemometro, per verificare l’intensità della raffica. Quasi non credevo ai miei occhi: 109 nodi, pari a circa 200 km/h. Questa era la Patagonia, la natura allo stato puro, in tutta la sua intensità, violenza e bellezza.

La crociera finì a Puerto Montt, dove gli ospiti sbarcarono, e noi, dopo pochi giorni, iniziammo a risalire verso nord, per non mancare il prossimo appuntamento in Ecuador, a Guayaquil, da dove avremmo dovuto iniziare un’altra fantastica crociera che è rimasta nel mio cuore: le isole Galapagos.

Ma questa è un’altra storia… così come lo sono la balena speronata (involontariamente) in Perù, il terremoto a Vanuatu, le immersioni in corrente nelle pass delle Tuamotu, il rito del Sevu Sevu alle isole Fiji, e tante altre avventure. Il Pacifico è diverso, è avventura, scoperta, imprevisto, sorpresa e, come forse si è capito, ci ho lasciato un po’ di me e del mio cuore.

In fondo, come diceva Bernard Moitissier, “Le gioie del marinaio sono semplici, come quelle dei bambini”.

Luca Mosca – Comandante

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1 commento

  1. Sestilio Gori says:

    Fornita tutta la strumentazione elettronica di navigazione e comunicazione….

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