Alla scoperta del San Josè, il relitto da 20 miliardi di dollari

Il galeone spagnolo San José trasportava nelle sue stive il tesoro più grande di tutti i tempi

Venti miliardi di dollari. Oppure, se preferite, 16 miliardi e 300 milioni di sterline o, per restare in Europa, 18 miliardi e 700 milioni di euro. Tanto è stimato il tesoro che giace nelle stive del galeone San José, affondato in un punto le cui coordinate, per i motivi che vi potete immaginare, non sono state ancora rese note ma che si trova da qualche parte al largo della costa caraibica di Cartagena de Indias, in Colombia. 

Si tratta senza dubbio del carico più prezioso di tutti i tempi, una vera a propria leggenda per gli appassionati di navi affondate e di tesori sommersi, tanto che il galeone spagnolo è stato soprannominato il “Santo Graal dei cacciatori di relitti”. Nella nave infatti erano state stipate, secondo i contabili della Corona Spagnola delle Indie Occidentali, 344 tonnellate di monete d’oro e 116 casse colme di smeraldi, oltre ad una quantità imprecisata di argento. 

Il galeone, costruito nel 1696 nei cantieri del Re Filippo V di Spagna, era salpato da Cartagena per fare rotta verso la madrepatria stracarico di ori e preziosi ma fu intercettato il 10 giugno del 1708 da una flotta corsara composta da 4 navi al soldo della Corona Britannica e comandata dal capitano Charles Wager. In un combattimento durato la bellezza di 10 ore, Wager affondò non solo il San Josè ma anche tutti i 14 mercantili e gli altri due galeoni, il San Joaquin e il Santa Cruz, che lo accompagnavano. Al momento dell’affondamento, il San José era equipaggiato con 46 cannoni pesanti calibro 16 e trasportava oltre 589 persone, tra soldati, marinai e funzionari, solo 11 delle quali sopravvissero. 

A trovare i resti del “Santo Graal”, nell’estate del 1981, fu una società di cacciatori di tesori subacquei chiamata Glocca Morra. Non appena data alla stampa la notizia del ritrovamento del galeone, si innescò una controversia internazionale tra Usa, Colombia e Spagna sulla proprietà della nave e, di conseguenza, anche del tesoro. Battaglioni di avvocati si sono contesi il diritto per i loro clienti di recuperare il relitto nella aule di giustizia dei tribunali delle tre nazioni coinvolte e nelle Corti di giustizia internazionali, così che, ai nostri giorni, il tesoro giace ancora nelle stive sommerse del San José. E’ notizia di questi giorni, però, che le parti in causa abbiano finalmente trovato un accordo e che sarà la Colombia a recuperare la nave, previo il pagamento di un indennizzo miliardario alla Glocca Morra.

Juan David Correa, ministro della Cultura del governo colombiano, ha dichiarato che il recupero del galeone avverrà entro i prossimi due anni, Lo stesso presidente del Paese sudamericano, Gustavo Petro, ha assicurato la massima priorità all’operazione ed ha promesso che il San José, e il suo tesoro, torneranno a rivedere la luce del sole prima dello scadere del suo mandato presidenziale previsto nel 2026. Staremo a vedere. 

Chi invece non ha avuto voce nelle aule di giustizia internazionali sono i discendenti della comunità indigena andina Qhara Qhara, che hanno fatto notare, con qualche comunicato ripreso dalla stampa locale, che tutte quelle ricchezze affondate, i “conquistadores” spagnoli, ma forse è più esatto chiamali “invasori”, le hanno rubate al loro popolo. Riducendoli, per di più, in schiavitù per costringerli ad estrarre smeraldi, oro e argento dalle miniere di casa loro. Magari anche a loro, che certo non possono permettersi battaglioni di avvocati, spetterebbe qualcuna di quelle casse colme di smeraldi. Ma evidentemente dai tempi violenti della “Conquista delle Indie” le cose non sono cambiate poi così tanto per gli ultimi popoli indigeni della terra

 

L’immagine di copertina è tratta da un video del canale YouTube di @ArmadaDeColombia

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1 commento

  1. Amarilli BARINA says:

    grazie Riccardo

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