Ecco come nascono i nomi delle barche (e perché è meglio non cambiarli)

La barca e il suo nome: un legame indissolubile tra mito e leggenda

21 May 2024 | di Redazione Daily Nautica

Vi sarà successo tante volte di passeggiare lungo le banchine di un porto e soffermarvi a leggere i nomi impressi sulla poppa o la fiancata delle imbarcazioni. In altre occasioni vi sarete ritrovati a commentarli, a voce alta o in silenzio, domandandovi chi fossero “Petra” o “Vittoria” o, di fronte a “Scommessa Vincente”, se veramente qualcuno avesse vinto al gioco tanti soldi da potersi permettere una barca. O ancora se “Vagabonda” fosse di un velista avvezzo alle navigazioni in solitaria, se “Mezzo” e “L’altro mezzo”, ormeggiate una a fianco all’altra, appartenessero a due amici per la vita, o più semplicemente come fosse venuto in mente a qualcuno di chiamarne una “Tacco12”.

Per quanto diverse possano essere quelle scritte e molteplici le loro fonti di ispirazione, una cosa in comune le barche che le sfoggiano ce l’hanno: un nome. Sebbene le regole che disciplinano questo argomento siano molto chiare e pongano l’obbligatorietà di assegnarne uno a tutte le imbarcazioni da diporto (oltre i 10 metri), sollevando i natanti da questa incombenza, praticamente tutte le barche o quasi possiedono un nome.

Le ragioni sono diverse: da un punto di vista pratico è essenziale per identificare in modo univoco una barca, di fronte alle autorità marittime, in occasione di numerose procedure, come richiedere l’attracco in un nuovo porto, ma anche in caso di assistenza all’ormeggio o in situazioni di necessità ed emergenza. Il nome dovrebbe avere delle caratteristiche precise, al di là delle preferenze personali: meglio se breve, riconoscibile e facile da leggere, oltre che di semplice pronuncia. Laddove un intervento tempestivo potrebbe fare la differenza, ben diverso sarà lanciare una richiesta di soccorso dicendo semplicemente “Aurora”, piuttosto che articolare l’acronimo incomprensibile dei nominativi dei tuoi familiari.

Buonsenso a parte, quando si acquista una barca quello della scelta del nome è un momento piuttosto emozionante perché rispecchia inevitabilmente l’armatore e, in un modo o nell’altro, parla di lui o di qualcosa che ama o che lo riguarda. E qui l’argomento si fa decisamente più romantico e interessante.

La barca è femmina

Che siate d’accordo oppure no, è un dato di fatto che moltissime imbarcazioni portino un nome femminile. Sebbene la tradizione marinara e il galateo nautico (inteso come quell’insieme di regole non scritte che ciascun buon navigatore dovrebbe rispettare) suggeriscano che ogni unità facente capo alla Marina Militare sia considerata “maschile”, mentre le imbarcazioni da diporto e quelle mercantili siano appellate al femminile, l’abitudine di attribuire alle barche nomi femminili è ampiamente diffusa per ragioni che hanno un’origine antica.

Un tempo i marinai erano spesso costretti a stare lontano dalla terraferma per lunghi periodi. Soli nel blu sconfinato dei mari, senza punti di riferimento, trattavano i vascelli come fossero una persona cara. Che la ragione fosse scaramanzia o semplice tradizione non ci è dato saperlo ma se ci armiamo di una sana dose di psicologia spiccia e tentiamo di immedesimarci in quei navigatori avvezzi a traversate senza fine e senza esito certo, possiamo facilmente spiegare questa loro attitudine: ritenevano infatti che le barche possedessero un’anima e attribuire loro un nome, specie se femminile, era una pratica necessaria e rassicurante perché conferiva un senso di protezione e, contrariamente alle donne in carne e ossa, che per i naviganti erano sinonimo di malasorte a bordo, l’impalpabile aura femminile associata al vascello induceva buon auspicio e conforto.

Senza andare troppo lontano nel tempo, pensiamo a chi oggigiorno trascorre, per lavoro o per passione, la propria vita in mare: che si tratti di ore, giorni, settimane o interi mesi, è impossibile ignorare l’inevitabile intimità che si crea tra un uomo e la sua barca. Sebbene chi per mare non ci sia mai stato possa faticare a comprendere, quest’ultima ha per molti un ruolo fondamentale dal punto di vista emotivo. Dal momento in cui la vediamo per la prima volta, ce ne prendiamo cura, ci affezioniamo e ci affidiamo a lei, che di contro, a suo modo, si occupa di noi accogliendoci a bordo, cullandoci tra le onde, riportandoci in porto sani e salvi.

Dalla promessa del primo giorno il legame che si instaura è tale da rendere naturale darle un nome che la identifichi e rappresenti al meglio le nostre emozioni: è una forma di rispetto nei suoi confronti, un dono che le facciamo, il modo in cui i navigatori, in cuor loro, le assegnano una dignità. Il nome perfeziona quel processo di “umanizzazione” di cui ogni marinaio o armatore aveva nell’antichità e ha ancora oggi intimamente bisogno. Ma cosa accade quando si compra una barca che un nome ce l’ha già?

Cambiare il nome alla barca si può ma occorre cautela

Il nome che si sceglie per la propria barca deve suscitare un’emozione nell’armatore che lo assegna e che con esso la “battezza” e le conferisce un’identità. Come una scintilla che ne alimenta l’anima, trasformandola da manufatto abilmente modellato da mani esperte in un’autentica creatura dei mari. Acquistare un’imbarcazione usata è un po’ come adottarla e quasi sempre un nome lo possiede già. Cambiare questo nome, dal punto di vista pratico, si può: è sufficiente recarsi presso la Capitaneria di Porto muniti di documento d’identità e licenza di navigazione e presentare la domanda. Ma siete davvero sicuri di voler fare questo azzardo?

Alcuni di voi forse non sanno che il nome della barca, secondo antiche superstizioni che sopravvivono ancora oggi, non può e non deve essere cambiato. Mi spiego meglio: se intendete apportare una variazione o un’aggiunta al nome originario, poco male, ma se intendete sostituirlo radicalmente con uno nuovo, non solo andrete incontro alla malasorte ma susciterete anche le ire del dio pagano del mare. Sono molte le leggende alimentate da una nutrita collezione di superstizioni marinare che ci proiettano in un mondo di affascinanti credenze, le stesse che un tempo terrorizzavano i naviganti e che oggi incantano ma fanno pur sempre cedere a rituali volti a raggirare la cattiva sorte.

Attorno alle barche e al loro nome ruotano infatti miti che se agli occhi di molti potrebbero far sorridere, non sortiscono lo stesso effetto tra la gente di mare, che considera la faccenda tutt’altro che un gioco. Alcuni affondano le loro origini nell’antica Grecia e narrano che ogni vascello che toccava il mare per la prima volta riceveva un’anima e un nome che la evocava, iscritto in un apposito libro custodito da Poseidone, il dio del mare. Da lui dipendevano le vite degli uomini e la sorte delle barche e tutto ciò che li riguardava era di sua competenza. Interferire significava rivolgergli un grave affronto e cambiare il nome alla barca un disturbo che non avrebbe perdonato.

Non avrebbero sorvolato sulla questione neppure le bellissime polene, l’ornamento ligneo che tra il XVI e il XIX secolo veniva posizionato sulla prua delle imbarcazioni e originariamente decorava i maestosi galeoni. Tradizionalmente rappresentavano una grande figura femminile, l’unica donna ammessa a bordo, custode del nome che la nave aveva ricevuto all’atto del suo battesimo. Secondo la leggenda, cambiare il nome alla nave avrebbe sollecitato la gelosia della polena, che per vendetta avrebbe addirittura potuto causarne il naufragio.

Nel corso della storia la (forse) illusoria ma necessaria ricerca di protezione ha insinuato nella gente di mare il fascino della suggestione e i naviganti hanno affrontato il mare e la sua imprevedibile immensità con cautela, timore e riverenza, cedendo alla superstizione nell’auspicio di attirare buona sorte e scongiurare disgrazie. Le intriganti leggende che popolano le banchine dei nostri porti, sebbene possano apparire bizzarre agli occhi di molti, ancora oggi si fondono in un legame indissolubile con l’affascinante cultura marinara. Esse ci aiutano a non dimenticare che siamo solo ospiti sulla superficie del mare e che questa magia blu, risorsa fondamentale per la nostra sopravvivenza, impone umiltà e rispetto.

Prima di concludere voglio aggiungere che se proprio vorrete cambiare nome alla vostra barca senza “sfrugugliare” Poseidone, basterà uscire in mare e tagliare più volte la scia di un’imbarcazione amica. O ancora, se sceglierete di dedicare alla faccenda un po’ più di tempo, fermatevi al largo armati di una buona bottiglia di bollicine e di una targa che riporti il nome che si intende cambiare, invocate più volte il dio del mare e rivolgetegli, con le opportune movenze e la doverosa solennità, la seguente preghiera:

“O grande e potente Signore dei Mari e degli Oceani, al quale tutti i vascelli e coloro che si avventurano nel tuo vasto dominio devono rendere omaggio, imploriamo la tua grandezza per cancellare il nome (pronunciate il vecchio nome) che ha cessato di essere un’entità del tuo regno (e gettate la targa da prua). Invochiamo altresì la tua grazia ad accettare nei tuoi registri questo prezioso vascello, da adesso e per sempre conosciuto come (pronunciate il nuovo nome), proteggendolo con il tuo braccio potente e con il tridente e assicurandogli sicuri e rapidi viaggi nel tuo vasto reame. Come apprezzamento della tua dispensa, munificenza e in onore della tua grandezza, ti offriamo queste libagioni”.

Non siate avari e versate in mare il contenuto della bottiglia. Se vorrete conservarne un goccio, sarà la scusa per brindare al nuovo nome della vostra barca.

 

Priscilla Baldesi

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1 commento

  1. Gianmarco Orengo says:

    Cambiare nome ad una nave o di una barchetta, si può e lo si è sempre fatto, anche diverse volte durante la vita dell’imbarcazione.
    Le navi che durano a lungo vengono spesso cedute da un armatore all’altro, che in genere procede immediatamente al cambio del nome.
    Tale pratica largamente diffusa, non impedisce alla nave rinominata di effettuare lunghe e lucrose navigazioni, con buona pace di alcuni marinai da banchina
    che chiaccherano, di “antiche tradizioni” spesso frutto di fantasie o di letture mal interpretate.

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