Il capitano Enrico D’Albertis: yachtsman e giramondo
Enrico D’Albertis è stato un personaggio dagli interessi poliedrici: scrittore ed erudito, marinaio, naturalista, alpinista, cacciatore, fotografo, costruttore di meridiane e “viaggiatore impenitente”
Enrico D’Albertis è stato un personaggio dagli interessi poliedrici: scrittore ed erudito, marinaio, naturalista, alpinista, cacciatore, fotografo, costruttore di meridiane e “viaggiatore impenitente”
A Genova, chi entra nella sede dello Yacht Club Italiano viene accolto sulla porta dal busto del capitano Enrico D’Albertis. É stato collocato in una posizione così prestigiosa non solo perché fu tra i fondatori dello stesso Yacht Club Italiano ma anche perché fu precursore di un nuovo approccio all’andar per mare, quello che oggi viene definito con il termine “yachting”. Infatti, D’Albertis, che in gioventù aveva servito nella Regia Marina, quando era a bordo si faceva carico in prima persona dei turni al timone, della manovra delle vele e della condotta della navigazione, a differenza dei nobili o dei milionari del tempo, che erano imbarcati come semplici passeggeri su navi condotte da equipaggi professionisti.
Enrico D’Albertis, nel corso della sua lunga vita (1846-1932), è stato un personaggio dagli interessi poliedrici: scrittore ed erudito, marinaio, naturalista, alpinista, cacciatore, fotografo, costruttore di meridiane, fu anche un “viaggiatore impenitente” che esplorò a fondo l’Africa e compì per tre volte il giro del mondo, utilizzando i più svariati e a volte rudimentali mezzi di trasporto. L’esperienza fondamentale nella sua formazione fu quella dell’uomo di mare, dapprima come ufficiale e poi come “yachtsman”, nel corso di un ventennio di crociere nel Mediterraneo e nell’Atlantico.
D’Albertis nacque a Voltri, figlio dell’industriale laniero Filippo D’Albertis e di donna Violante Giusti. A diciotto anni fu ammesso nella Reale Scuola di Marina di Genova e compì una crociera d’istruzione nel Mare del Nord e nel Baltico. Nel 1864 si imbarcò come aspirante guardiamarina sulla fregata Principe Umberto, in una traversata che raggiunse Rio de Janeiro, Montevideo ed infine, passato Capo Horn, Valparaiso. Al ritorno la nave fu inviata direttamente nell’Adriatico, dove nel luglio del 1866 partecipò alla battaglia di Lissa. Nel 1869, però, dopo aver sostenuto brillantemente l’esame di guardiamarina di prima classe, decise di dare le dimissioni: il suo carattere di uomo d’azione non era fatto per la routine giornaliera di una forza armata in tempo di pace.
È di quell’anno un viaggio a Porto Said per l’inaugurazione del Canale di Suez, dove fu colpito dallo spettacolo dei grandiosi festeggiamenti organizzati per l’occasione. Nel 1870 entrò nella Marina Mercantile effettuando alcune traversate come secondo nel Mar Nero con l’Emma D., nave genovese da 500 tonnellate. L’anno successivo, dopo un viaggio in Inghilterra e in Scozia, ottenne il comando dell’Emilia, un veliero a propulsione mista di 1.046 tonnellate che ebbe l’onore di essere la prima nave mercantile italiana a passare il Canale di Suez. In Inghilterra aveva avuto modo di entrare in contatto con il mondo dello yachting e per anni cercò di creare anche a Genova un club velico simile a quelli inglesi, un’impresa che si realizzò nel 1879, con la nascita del Regio Yacht Club Italiano.
D’Albertis aveva iniziato la sua attività diportistica nel 1875, quando commissionò a Luigi Oneto, progettista e costruttore, lo yacht Violante: armato a cutter, era lungo 11,41 metri al galleggiamento, largo 3,32 metri e pescava 2,43 metri. Nel corso delle crociere imbarcava degli amici scienziati, come Leonardo Fea, Arturo Issel, Raffaele Gestro e Giacomo Doria, che arricchivano le collezioni del Museo di Storia Naturale di Genova. Nell’agosto del 1875 il Violante lasciò Genova per una lunga navigazione nel Mediterraneo occidentale. Negli anni seguenti le crociere dello yacht si susseguirono, affrontando navigazioni più impegnative: Grecia, Costantinopoli, Dalmazia.
Lo schema di queste prime avventure mediterranee era sempre lo stesso: qualche settimana o qualche mese di navigazione in cui si fa scalo anche nelle isole più fuori mano, a volte poco più di scogli. Qui i porti spesso difettano e allora si sbarca con la lancia, lasciando lo yacht all’ancora o alla cappa. Appena scesi a terra, gli uomini dell’equipaggio si sparpagliano a caccia di esemplari di uccelli, di rettili, di campioni di roccia, che vengono poi debitamente classificati e conservati. La selvaggina, che si tratti di capre o di conigli selvatici, finirà invece in cucina. Naturalmente, se vi è una montagna, l’ascensione in vetta si impone. Poi ci si occupa di riconoscere qualche reperto archeologico e di annotare le prospettive dell’agricoltura e del commercio locali. In mare si effettuano dragate con le reti da plancton per raccogliere rari esemplari di vita marina.
É un “programma di viaggio” che unisce l’avventura, le reminiscenze storiche e la ricerca scientifica ad un primo abbozzo di turismo. Col Violante, Enrico D’Albertis e i suoi amici attraversano felicemente un universo mediterraneo immutato da secoli, che non attende che di essere svelato, studiato, raccontato. Ancora oggi le pagine di resoconto su queste giornate si leggono con piacere: ci fanno toccare con mano un Mediterraneo arcaico e addormentato, ricco di vita animale, nel quale era allora pratica consueta arpionare i delfini, dare la caccia alle foche e raccogliere un buon numero di tartarughe di mare per ricavarne la zuppa.
Nel 1882, desiderando disporre di uno yacht più grande, D’Albertis fece costruire dal cantiere di Agostino Briasco di Sestri Ponente il Corsaro. Era armato a yawl, lungo in coperta 25,50 metri, largo 4,88 metri e aveva un‘immersione di ben 3,50 metri. Inoltre: “Il Corsaro – spiegò lo stesso D’Albertis – sottolineava il proprio nome con un piccolo arsenale. Infatti, nei giorni di gala, sulla prora scintillava un cannoncino a retrocarica di 65 mm di diametro, era a perno, talché potevasi con esso fare fuoco in qualunque direzione, vantaggio che avevano pure due spingarde da 53 mm montate sui bordi di poppa. Non mancavano a bordo carabine Vetterli, revolver ed armi bianche che, ben disposte e collocate a trofei, armonizzavano con l’elegante e severo interno del yacht, ed in date contingenze l’avrebbero abilitato a resistere a qualche feluccio spagnolo o maona moresca, per le quali correre il buon bordo, non è una semplice espressione dell’antica fraseologia marinaresca”. (1)
Questo armamento era giustificato dal fatto che anche alla fine dell’Ottocento il Mediterraneo non poteva dirsi del tutto sicuro. Quell’anno il Corsaro compì una crociera fino a Madera e alle Canarie. Nel 1893 il Capitano ebbe poi l’idea di utilizzarlo per attraversare l’Atlantico e raggiungere El Salvador. L’impresa fu preparata in silenzio, com’era nel suo carattere. D’Albertis voleva celebrare la traversata di Colombo ma anche riviverla dal punto di vista del marinaio che deve fare i conti con le correnti, i venti, le maree, gli imprevisti: utilizzare un piccolo veliero come il Corsaro voleva dire misurarsi con le stesse difficoltà incontrate dal grande genovese.
Era un’idea che anticipava i tempi: perché sia ripresa bisognerà aspettare fino al 1939, quando lo storico americano Samuel E. Morison organizzò la “Spedizione colombiana di Harvard” e dichiarò: “Acquistammo e armammo la nave goletta Capitana che era abbastanza simile, per attrezzatura e tonnellaggio alle maggiori navi di Colombo, da consentirci di attraversare l’Oceano in condizioni analoghe a quelle da lui incontrate, e di vedere isole e coste come attraverso i suoi occhi”.
Per chiarire il significato della sua impresa, Morison aggiunse: “Nessuno dei biografi di Colombo ha mai preso il mare alla ricerca di notizie e delle verità, anche se è evidente come torni veramente impossibile scrivere un libro che abbia una qualsiasi importanza e significato agli occhi del lettore moderno sulla base di resoconti stesi nel XV e XVI secolo, semplicemente studiandoli standosene seduti in una biblioteca, con l’aiuto delle carte geografiche. Una siffatta navigazione ‘a tavolino’ è altrettanto sterile quanto lo potevano essere, in passato, quegli studi di scienze naturali che venivano compiuti senza l’ausilio della ricerca e della sperimentazione”. (2)
É per questo che ancora oggi risulta utile comparare le sue impressioni di navigazione con quelle, che risalivano a più di quarant’anni prima, di D’Albertis. Il Capitano, nella sua traversata verso El Salvador, consultò quotidianamente il “Diario” di Colombo per meglio comprendere le ragioni delle variazioni di rotta e tentò pure l’uso in mare di riproduzioni di antichi strumenti nautici che egli stesso aveva costruito. Partito da Cadice il 22 giugno, dopo una traversata senza storia, finalmente “il 20 luglio 1892, alle due pomeridiane il Corsaro lasciava cadere l’ancora in 7 metri di fondo, a circa 400 metri dalla spiaggia. Il suo pellegrinaggio era compiuto! Esso aveva impiegato 27 giorni e 22 ore a percorrere le 3.850 miglia che separano Cadice da San Salvador, con una velocità media di miglia 5 e 7/10 all’ora”.
Il Corsaro risalì poi la costa degli Stati Uniti fino a raggiungere New York, dove D’Albertis fu impressionato dalla vitalità e dalla diffusione che aveva raggiunto lo sport della vela: “L’arrivo di uno yacht italiano a Nuova York era cosa affatto nuova, e tosto il New York Yacht Club e l’Atlantic Club fecero a gara per dare il ‘benvenuto’ al bastimento da diporto che, primo, faceva sventolare nelle acque americane il guidone del Regio Yacht Club Italiano. Ebbi inviti speciali per assistere alle regate di Glen Clove, alle prime prove fra i campioni americani costruiti per difendere la Coppa dell’America, ed in una di esse vidi l’yacht Vigilant perdere parte dell’alberatura. Ammirai colà radunati ben centodue yachts d’ogni tonnellaggio, pronti a prendere parte ad una regata di crociera che sarebbe durata una settimana. E quando è che la sonnolenta Italia… sportiva, già regina dei mari, si desterà dal suo letargo seguendo questo sano e virile impulso?”. (3)
L’ultima crociera del Corsaro fu effettuata nel 1895 per partecipare ai festeggiamenti per l’apertura del canale di Kiel. Al ritorno, nella Manica, lo yacht fu però gravemente danneggiato dalla collisione con un vapore inglese: i danni riportati furono così gravi da consigliarne la demolizione. Il suo ricordo non sarebbe però scomparso. Nel dopoguerra la Marina Militare italiana, sempre attenta alle tradizioni, volle riprenderne il nome. Nel 1961, dai cantieri Costaguta di Voltri, scese così in mare il Corsaro II, una splendida unità che ancora oggi è in servizio come nave scuola della Marina Militare. Oggi le collezioni scientifiche ed etnografiche raccolte da D’Albertis nel corso dei suoi viaggi e delle sue navigazioni si possono ammirare nel Museo delle Culture del Mondo di Genova, che è ospitato in un castello ottocentesco che il Capitano fece erigere su un bastione dell’antica cinta muraria della città.
Note:
(1) E. D’Albertis – Crociere del Violante e del Corsaro, Mursia, 1973, pag. 210
(2) Samuel E. Morison – Cristoforo Colombo ammiraglio del mare oceano Il Mulino, 1962, pag. 2
(3) D’Albertis pag.339
Giovanni Panella
