08 maggio 2025

Luca Rosetti a DN: “Al via il progetto Class 40 con Maccaferri Futura”

08 maggio 2025
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Luca Rosetti si racconta per i lettori di Daily Nautica In occasione della presentazione ufficiale del progetto Class 40 Maccaferri Futura a Genova

Luca Rosetti si racconta per i lettori di Daily Nautica In occasione della presentazione ufficiale del progetto Class 40 Maccaferri Futura a Genova

9 minuti di lettura

Il fare posato e il tono calmo di Luca Rosetti non devono ingannare. Dietro ad un’apparenza tranquilla, infatti, si cela un atleta che cerca le parole giuste per descrivere una determinazione e degli obiettivi che si percepiscono molto ambiziosi. Appassionato di vela e regate fin da piccolo a bordo di Optimist e Laser, ha un colpo di fulmine con la vela oceanica a bordo di un Mini 6.50 in Adriatico e da allora naviga verso orizzonti sempre più lontani. Il suo approccio determinato a raggiungere obiettivi importanti lo porta alla vittoria della Mini Transat in classe proto nel 2023, e da allora il suo nome “gira” nel mondo della vela oceanica. Il passo logicamente successivo è il Class 40, classe in cui Luca fa esperienza a bordo di diverse barche, tra cui anche IBSA di Alberto Bona con cui nel 2024 corre la Transat Québec Saint-Malo.

Giovedì 8 maggio il navigatore trentenne romagnolo ha presentato alla stampa il nuovo progetto, finalmente “tutto suo”, in Class 40, che, oltre all’impegno agonistico, ha anche un forte componente sociale. Maccaferri Futura, infatti, non è solo una barca nuova, un Musa 40 disegnato da Gianluca Guelfi e costruito dal cantiere Sangiorgio Marine di Genova, ma mira anche a diventare una piattaforma scientifica per il monitoraggio della salute dell’oceano e del corpo umano. Un progetto in linea con i valori del main sponsor Maccaferri, da oltre 140 anni una realtà internazionale leader nella ricerca e implementazione di soluzioni avanzate ai mercati delle costruzioni civili, geotecniche e ambientali.

Daily Nautica ha incontrato Luca Rosetti per una lunga chiacchierata, durante la quale il navigatore si è aperto con generosità e onestà ai nostri lettori.

Luca, il tuo sodalizio con Maccaferri non è una novità, ma cosa vi ha legato in particolare per far nascere il progetto attuale in Class 40?

Sì, hai ragione, con Maccaferri abbiamo iniziato a lavorare insieme nel 2019, a dieci mesi dalla partenza della mia prima Mini Transat, per cui avevo già montato un progetto e sono poi risaliti a bordo nel 2023, quando ho vinto la Mini Transat. In quest’occasione abbiamo lavorato bene insieme e la vittoria è stato un bello slancio per continuare dopo. Ci siamo seduti a un tavolo e abbiamo parlato della nuova idea a cui avevo pensato: il progetto Futura. Un progetto che non parlasse solo di sport, ma che sfruttasse la barca anche come piattaforma per lanciare messaggi e fare altre attività. La barca come veicolo, non solo di comunicazione, ma letteralmente come mezzo che, mentre gira in mare, può fare attività collaterali come raccogliere dati ambientali.

Ci racconti la tua nuova barca Maccaferri Futura?

Io volevo un Musa per varie ragioni. Innanzitutto, perché è uno dei Class 40 più competitivi sul mercato. Ambrogio (Beccaria, n.d.r) con il primo scafo ha vinto veramente tanto, ma non solo lui è andato bene, anche Alberto Riva e Andrea Fornaro, con altri due Musa, sono andati forte. Non era quindi una barca tagliata solo su Ambrogio, dove ci volevano le sue caratteristiche e il suo talento e basta per navigare bene, ma era versatile. E poi un’altra ragione della mia scelta di questo scafo è che in Italia, ancorché ci siano tante cose che non sappiamo fare, nel mondo della nautica abbiamo delle competenze. Da italiano che vive in Francia per poter fare quello che fa, ho sentito il bisogno e la necessità di prendere in Italia tutto il possibile a livello tecnico e di efficienza. Quando si smuove uno sponsor e si mette in piedi un progetto del genere, l’idea è di farlo in maniera competitiva. Con Maccaferri avevamo valutato delle alternative, perché in quel periodo era appena uscito il Max 6, stava uscendo il nuovo Lombard e il nuovo Raison, insomma c’erano barche sul mercato che avevano delle caratteristiche diverse che potevano essere interessanti, ma abbiamo scelto di dare fiducia all’evoluzione del progetto di Gianluca (Guelfi, il progettista del Musa, n.d.r).

Quali sono queste evoluzioni? Le hai decise tu o il progettista?

Alcune cose le ho decise io, altre insieme a Gianluca, altre ancora le aveva già decise Gianluca sulla base dei feedback che aveva ricevuto da Ambrogio Beccaria e Alberto Riva. Abbiamo cercato di fare una barca più “all round” rispetto al primo Musa, che era una barca che andava molto forte particolarmente in certe condizioni. Non si può chiaramente far andare più veloce la stessa barca, ma si può decidere dove mettere la velocità e noi abbiamo provato a fare un’evoluzione più versatile.

Il progetto Maccaferri Futura quanto durerà e quali sono i tuoi obiettivi in questa classe?

Il progetto è di tre anni e siamo già al secondo, visto che i primi dodici mesi erano dedicati alla costruzione della barca. Il calendario sportivo del 2025 prevede la Paprec 600 Saint Tropez a metà maggio in Mediterraneo, seguita da un trasferimento in Bretagna per partecipare a Les Sables-Les Açores-Les Sables a fine giugno, poi la Rolex Fastnet Race a fine luglio e finalmente a fine ottobre l’appuntamento “clou” della Transat Café l’Or Normandie-Le Havre (ex Transat Jacques Vabres, n.r.d). La barca poi rimarrà ai Caraibi per la fine dell’anno a svernare in vista della RORC 600 a febbraio, prima di rientrare in Europa con la regata Niji Retour. A quel punto vedremo che regate fare, perché l’obiettivo del 2026 è la Route du Rhum a novembre. Poi, chissà! Anche se per ora posso dire che, visto l’investimento sia economico che in termini di energia, tempo e risorse umane, c’è da entrambe le parti l’interesse a non fermarsi subito dopo la Route du Rhum.

Con chi navigherai nei prossimi due anni? Preferisci navigare in solitario o in equipaggio?

Matteo Sericano sarà il mio co-skipper, perché dall’anno scorso siamo andati forte insieme a bordo del Class 40 Tyrolit, facendo un bel percorso di crescita. Poi in tutte le regate in equipaggio ci sarà anche il mio boat captain, Yael Poupon, un mio avversario durante la Mini Transat che è veramente molto bravo e con cui farò almeno una regata in doppio all’anno, forse la Paprec 600. Per me il boat captain è una figura fondamentale: gli affidi la barca e quindi anche te stesso, nel senso che se la barca è preparata bene, poi in mezzo al mare hai meno problemi. Quindi è importante che navighi e si renda conto delle esigenze e delle criticità, così da poter discutere insieme delle soluzioni sia in termini di performance che di ergonomia e vita a bordo.

Negli ultimi anni il binomio “vela” e “ricerca scientifica” è diventato quasi imprescindibile e anche il tuo progetto lo conferma: ci spieghi perché hai voluto integrare questo aspetto dandogli uno spazio centrale? Ti spinge a farlo una tua paura personale per il destino del mondo o un impegno civile?

Forse è un po’ una paura personale. Ma sento anche il bisogno che quando le cose vengono dette, poi vadano fatte in un certo modo. Quando si parla di progetti legati alla ricerca ambientale, ora che sto provando a farne uno io, mi rendo conto ancora di più di quanto da un lato ci sia stato in molti casi un banale “greenwashing” e quanto, dall’altro lato, sia difficile farli. I partner scientifici hanno esigenze e standard molto precisi e definiti, e non è sempre facile e tutto possibile. Grazie a Maccaferri stiamo portando avanti una vera e propria sfida, nel senso che abbiamo dei collaboratori all’interno del progetto che si occupano proprio solo di questo aspetto, perché c’è la necessità, che ad oggi nessuno ha fatto, di scrivere dei protocolli di raccolta che siano reiterabili, per poter effettivamente raccogliere dati certificati e certificabili. Il problema è che fino ad oggi si è parlato tanto di “raccolta dati in mare”, ma non esiste nulla, né protocolli né letteratura in merito. Proprio adesso stiamo lavorando con l’Università di Milano Bicocca per capire se i dati che raccoglieremo saranno utili e affidabili, cioè rispetteranno tutta una serie di parametri di variabilità e quindi possiamo chiamarli “dati scientifici”, o se saranno “dati divulgativi”. Il problema è questo, infatti, da quello che ho capito: un conto è parlare degli uni, un conto degli altri e la differenza è se siano stati rispettati certi parametri e protocolli o meno.

Il team Malizia di Boris Hermann, ad esempio, è uno di quelli che ha raccolto dati effettivamente scientifici durante la The Ocean Race, che sono stati poi pubblicati su riviste specializzate. Noi, oltre a scrivere questi protocolli, raccoglieremo anche dati, sia dell’aria e dell’acqua durante alcuni trasferimenti, sia attraverso una “sail box”. Si tratta di un campionatore automatico installato a bordo che tirerà fuori tutta una serie di parametri, cioè la temperatura dell’acqua nelle varie posizioni, la salinità, il PH e la quantità di CO2 disciolta. Ad oggi non sappiamo ancora se questi dati saranno divulgativi o scientifici, nel senso che dobbiamo certificare questo strumento prototipo che hanno realizzato dei ricercatori con cui lavoriamo e che, se funzionerà, magari un domani potrà essere installato su qualsiasi barca da diporto, di modo che ci possano essere potenzialmente un’infinità di “boe di segnalazione”.

Cosa rappresenta per te navigare?

È una domanda a cui rispondo diversamente ogni due o tre mesi. Chi va per mare come me se la pone, perché ci sono degli aspetti del progetto che ti portano a fare anche tanti sacrifici. In questo momento mi sono reso conto che in mezzo al mare è l’unico momento in cui sono capace di vivere veramente il presente. Io vivo, anche un po’ troppo, proiettato al futuro, sempre a cercare la prossima sfida, e questo non è sempre bello, sereno o piacevole. Invece in mezzo al mare riesco a preoccuparmi solo del presente, che è fatto da me, dalla barca e dalle condizioni intorno a noi.

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